DEVO COMMENTARE!

Illustrazione in stile cartoon di Ricky in pigiama, seduto al computer. Sullo schermo appare la scritta “Buongiorno!” con l’emoji del sole. Sfondo giallo caldo, atmosfera ironica e leggera.
Cronache dal Far West dei social

Scrivi un innocuo “Buongiorno 🌞” su Facebook.
Pensi di aver lanciato un messaggio di pace universale, un piccolo seme di positività nel caos digitale.

Illuso.

In tre secondi netti, il tuo buongiorno viene intercettato dai droni della polemica e piovono le risposte:
• “Buongiorno a chi??? A me no di sicuro! Parla per te!”
• “Il sole di oggi è palesemente meno luminoso di quello del 1987. Tipico pressapochismo moderno. Studia la meteorologia storica, ignorante.”
• “Il tuo post è offensivo nei confronti di chi soffre d’insonnia e dei vampiri. Un po’ di sensibilità, VERGOGNA.”

E tu volevi solo salutare. Forse, con un po’ di ottimismo, strappare un sorriso.

Il problema è che sui social la gente ha smesso di leggere.
Ora reagisce d’impulso.

Ogni dialogo rischia di essere una detonazione.
Siamo passati dalla connessione alla compulsione.

Non importa se hai condiviso un trattato filosofico di Heidegger, la foto del tuo gatto che dorme in una posa impossibile o la notizia della scomparsa di una celebrità: l’impulso pavloviano è più forte.
Scatta il bisogno irrefrenabile di lasciare un segno, di piantare una bandierina.

Il commento è l’urlo primitivo dell’Homo Digitalis: non scrivere equivale a non esistere.
E l’esistenza, qui, si misura in byte di indignazione.

I social network, ovviamente, lo sanno benissimo.
Anzi, hanno costruito su questo la loro fortuna.

Ogni insulto, ogni “boomer”, ogni “svegliaaa!”, ogni correzione non richiesta è carburante per il motore.
Più commenti, più scontri, più tempo speso sulla piattaforma.

Più tempo online = più dati raccolti = più soldi dagli inserzionisti.

L’odio va considerato la vera feature del sistema, altro che bug:
è l’olio che lubrifica la macchina perfetta e spietata del traffico digitale.

E in questa arena, ci sono i gladiatori. Possiamo dividerli in categorie:
L’Archeologo del “si stava meglio quando”: qualsiasi cosa tu posti, era meglio prima. Le canzoni, le estati, l’aria, persino le guerre.
Il Cecchino della Sintassi: ignora il contenuto del tuo post per scovare quel congiuntivo sbagliato o l’accento mancante. La sua missione è una crociata grammaticale che ignora totalmente la comprensione.
L’Offeso Esistenziale: convinto che ogni parola che scrivi sia un attacco personale e cifrato contro di lui. Il tuo “buongiorno” era chiaramente una frecciata perché sa che lui ha dormito male.

Poi, quando il livello si alza, arrivano i professionisti: le fabbriche dell’odio.

Bot, troll e account fasulli che inondano le bacheche con migliaia di commenti copia-incolla.
E quando la politica decide di farsi un lifting digitale, ecco che la magia si compie: sotto al post di un onorevole italiano compaiono 500 cuori da Amit Patel, Chinedu Okafor e Fatima Banu.

Tutti magicamente ferratissimi sulla legge di bilancio italiana e convinti che:
“Che leader! É il futuro della nostra nazione!!!”

Peccato che la loro nazione sia a 7000 km di distanza.

Intanto il commentatore seriale, quello in carne e ossa, continua la sua missione solitaria.
Rinuncia al dialogo per avere un pulpito.
Rinuncia a capire per poter sentenziare.

Vive per correggere, puntualizzare, demolire.

Non dorme, non mangia, non ama: commenta.
Un click dopo l’altro, con la furia di un eroe tragico, come se il destino del pianeta intero dipendesse da quell’emoji arrabbiata lasciata sotto la tua ricetta della carbonara.

E tu?
Tu guardi lo schermo, il tuo piccolo sole digitale sommerso dal fango.
Tu volevi solo dire buongiorno.

La prossima volta vai al bar. ☕️