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  • 5 Secondi di Follia: Quando l’Intelligenza Artificiale Salva un Idiota

    5 Secondi di Follia: Quando l’Intelligenza Artificiale Salva un Idiota

    Guidatore arrabbiato al volante - rabbia stradale cartoon
    Ricostruzione artistica abbastanza fedele dell’automobilista medio italiano alle 7:30 del mattino. (Credits: Disney, obviously)

    Il clacson mi prende come un pugno nello stomaco. Sono a metà dell’inserimento, tutto calcolato: velocità, spazio, tempistiche. Quindici metri di abbrivio, freccia sinistra lampeggiante, nessun disturbo al traffico. Eppure qualcuno sta suonando come se stessi commettendo un crimine contro l’umanità.

    Torniamo indietro di venti secondi. Uscita tangenziale nord direzione Limena, poco prima dell’autostrada. Orario anticipato rispetto al solito – il traffico scorre fluido come raramente capita. Scendo dalla rampa, freccia a sinistra, una macchina mi passa. Guardo lo specchietto: la successiva è ancora distante, stessa velocità della precedente.

    Accelero. Prendo la velocità del flusso, inizio a spostarmi verso sinistra. Nessuna manovra azzardata, nessun azzardo da guidatore della domenica. Solo fisica applicata e buon senso al volante.

    Poi arriva il clacson.

    L’auto che mi seguiva dalla tangenziale non sta più mantenendo la velocità. Sta accelerando. A tavoletta. Il clacson continua imperterrito, si aggiungono i fari abbaglianti in modalità strobo. Mi sposto sulla destra, rallento – più che altro per capire cosa diavolo stia succedendo.

    Mi sorpassa a velocità folle. Giro la testa. Il tizio mi sta urlando contro. Faccia rossa, gesti rabbiosi, espressione da guerriero della strada. Un flash, un lampo, un attimo.

    Con la coda dell’occhio – mentre sono ancora girato con l’espressione probabilmente ebete di chi assiste all’assurdo – vedo un bagliore rosso.

    Stop. La macchina davanti sta frenando.

    Nella mia mente vedo già lo schianto. Il suono della lamiera, il vetro, l’airbag che esplode. Il povero malcapitato che si ritroverà questo pazzo dentro l’abitacolo.

    Ma le macchine moderne sono più intelligenti di noi. Qualche sensore governato da un’intelligenza artificiale ad auto-apprendimento capisce che il suo idiota proprietario sta per fare “boom”.

    Frenata d’emergenza. Così violenta che vedo l’incauto automobilastro sbalzarsi in avanti, trattenuto dalla cintura. (Peccato, penso. Una bella frattura del setto nasale sulla corona del volante forse gli sarebbe servita).

    Ma la fisica ha le sue regole. Per quanto potenti fossero i freni di quel SUV nero con l’elica davanti, l’inerzia esige il suo tributo. Un “tunk” secco di plastiche che si toccano. Stop di entrambe le auto. Io sfilo sulla sinistra, ancora nella corsia di immissione, testimone involontario.

    Cinque secondi. Non è durato più di cinque. Tanto basta a un turbodiesel sotto un piede collegato a un cervello privo di giudizio per guadagnare qualche decina di chilometri all’ora e provocare un tamponamento evitabile.

    Tanto basta per farmi dubitare, ancora una volta, del genere umano.

    Mi chiedo: quanto ci vorrà prima che inventiamo sensori di giudizio da impiantare nel cervello? Perché evidentemente i sensori dell’auto funzionano meglio del cervello del guidatore. L’algoritmo batte l’istinto. Il silicio salva la carne.

    E io, che passo il tempo a diffidare degli algoritmi e a cercare l’autenticità umana, mi ritrovo a fare il tifo per una macchina che frena al posto del suo padrone.

    https://ilrickyverso.it

  • Ho sfidato 10 IA a mettermi in galera. Risultato? Hanno arrestato qualcun altro (o hanno imparato l’alieno)

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA SeeDream 4 con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Ovvero: come ho scoperto che 10 intelligenze artificiali su 10 hanno problemi seri con l’italiano e il mio viso

    A volte le cose nascono per caso. Le ispirazioni arrivano all’improvviso e non puoi fare altro che seguirle. E io, genio de noaltri, ho pensato: “Ehi! Trasformiamoci in un carcerato della mediocrità usando l’IA!”. Spoiler: la maggior parte di queste presunte “intelligenze” artificiali si sono rivelate più artificiali che intelligenti.

    Dal Crimine della Mediocrità al Disastro del Riconoscimento Facciale

    Stavo scrivendo un articolo sulla mediocrità online. Poi mi è venuta l’idea folle: creare un mugshot di me stesso come “criminale della creatività”, accusato di aver violato gli standard di mediocrità. Ho preso una mia foto (bruttissima tralatro), ho scritto un prompt dettagliatissimo, e l’ho dato in pasto a 9 diversi modelli AI usando lmarena.ai. Il risultato? Un festival dell’errore che merita un’analisi spietata

    La Carneficina: Analisi Brutale Modello per Modello

    Flux-1 Kontext Dev – BOCCIATO​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA Flux-1 Kontext Dev con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Il crimine: Ha appeso il cartello AL MURO invece che darlo in mano. MA CHE SENSO HA?! È un mugshot, non una mostra d’arte contemporanea! Oltre a questo, la somiglianza c’è ma l’interpretazione del prompt è da scuola elementare.

    Flux-1 Kontext Pro – DISASTRO TOTALE​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA FLUX-1 Kontext Pro con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Il crimine: Ha scritto “VNOULAZIONE MIOLLISOINIA ‘DL FAIE” e altre cazzate incomprensibili. Caro Flux Pro (che tra l’altro è la versione A PAGAMENTO), se non sai scrivere in italiano, almeno dillo. Costa pure di più e non sa fare lo spelling. Roba da denuncia al Codacons.

    Flux-2 Pro – CHI È QUESTO SCONOSCIUTO?​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA FLUX-2 Pro con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Il crimine: Ha trasformato COMPLETAMENTE il mio viso. Potrebbe essere chiunque. Potrebbe essere mio cugino, il panettiere sotto casa, Brad Pitt invecchiato male. Ma non sono io. Zero somiglianza con l’immagine originale. Fail totale.​

    Flux-2 Flex – REALISMO SOTTOZERO​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA FLUX-2 Flex con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Il crimine: Sembra tutto meno che realistica. L’immagine ha quell’effetto plastificato stile action figure degli anni ’90. Se l’obiettivo era “hyper-realistic”, qualcuno dovrebbe spiegare a Flux cosa significa “realistic”.​

    Gemini 2.5 Flash (Nano Banana) – QUASI, MA…​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA Gemini 2.5 Flash (Nano Banana) con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Il crimine: Ha scritto “VIOLATIONE” invece di “VIOLAZIONE”. Caro Google, siamo nel 2025, l’italiano esiste da un po’ di secoli. Un errore ortografico su una parola così importante rovina tutto. Peccato, perché la somiglianza e l’atmosfera erano buone.

    GPT-Image-1 (OpenAI) – MA CHI È ‘STO TIPO?​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA GPT Image 1 con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Il crimine: Ha travisato completamente l’immagine. Non è il mio volto. Punto. ChatGPT/OpenAI ha creato un’immagine bellissima, cinematografica, da Oscar… ma di un’altra persona. È come ordinare una pizza margherita e ricevere un sushi.

    E I Vincitori Sono…

    Nano Banana Pro (Gemini 3 Pro) – IL CAMPIONE​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA Nano Banana Pro (Gemini 3.0 Image Pro) con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Finalmente! Mantiene la somiglianza, scrive correttamente “VIOLAZIONE DEGLI STANDARD DI MEDIOCRITÀ”, gestione luci e ombre perfetta, texture credibile. Costa qualcosa in più ma FUNZIONA. È come confrontare un chirurgo e un macellaio: entrambi tagliano, ma solo uno sa dove tagliare.

    Qwen-Image-Edit (Alibaba) – IL VERO VINCITORE NASCOSTO

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA Qwen 2.5 Image Edit con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Qwen-Image-Edit, il modello di Alibaba da 20 miliardi di parametri, ha fatto quello che gli altri hanno solo sognato. È costruito su architettura dual-path: usa il Qwen 2.5-VL encoder per la comprensione semantica e un VAE (Variational Autoencoder) per la fedeltà dell’aspetto. Questa divisione gli permette di fare sia modifiche semantiche ampie che editing preciso pixel-per-pixel.​ Supporta editing semantico (rotazioni oggetti, cambio stile) E appearance editing (modifiche a livello di pixel con integrazione perfetta di luci e ombre). Ha capacità di text rendering bilingue (inglese E cinese) ed è rilasciato con licenza Apache 2.0 – completamente open source e commercial-friendly, più permissiva di Flux.

    Reve-v1 – LA SORPRESA CINESE​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA Reve V1 con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Il modello cinese mantiene buona coerenza con il mio volto originale, scrittura quasi corretta, atmosfera credibile. Non sarà perfetto ma ha fatto il compito correttamente. Perchè sul podio? Costa un decimo della concorrenza… Ranking #5 su LMArena per l’editing e si vede il perché.

    SeeDream-4 High Res – ALTRO COLPO CINESE​

    Ritratto mugshot di Ricky Guariento generato da IA SeeDream 4 con cartello Violazione Standard di Mediocrità per test modelli IA editing immagini

    Altro modello cinese che tiene botta. Risoluzione quadrata, somiglianza convincente, testo leggibile. Costo ridotto rispetto ai blasoni occidentali e risultato superiore alla maggior parte dei competitor. I draghi stanno divorando il mercato.

    Il Prompt Perfetto Sprecato

    Immagine di partenza per la modifica con IA

    Per chi volesse capire dove hanno fallito, ecco l’immagine di partenza e il prompt DETTAGLIATISSIMO che ho usato: specifiche fotografiche (Nikon D5300, 50mm f/1.2L, ISO 400), descrizione dell’ambientazione, del soggetto, dell’illuminazione, del testo da scrivere:


    “A hyper-realistic, cinematic mug shot portrait of a man (Critical Identity Lock: attached image) standing against a gritty, stylised police booking wall. The background is a textured concrete wall with faint scuff marks, smudged fingerprints, height lines (imperial measurements), and faded graffiti layered over institutional grey. The subject is framed dead centre, holding a black signboard that reads in bold white letters:

    ‘VIOLAZIONE DEGLI STANDARD DI MEDIOCRITÀ’

    He wears a modern black-and-white prison-style outfit: slim-fit striped top or monochrome jumpsuit, edgy and fashion-forward rather than costume-like. The neckline and sleeves have subtle fraying. Clothes are dirty and consumed. Accessories like silver hoops or a worn leather wrist cuff give it a rebellious aesthetic. His expression is confident and unbothered, with a slight smirk — bold, clever, and unashamed. He is bald his head is perfectly shaved. The lighting is stark and moody: single light source from above casting soft shadows under her jaw and behind her, creating depth and mood.

    Camera specs for realism and tension:
    • Nikon D5300, 50mm f/1.2L lens
    • ISO 400, f/2.0 for soft background blur and crisp facial detail
    • Studio-style flash with slight overhead diffusion
    • Sharpened textures on skin, hair, concrete, and fabric
    • Colour-graded for cinematic realism, subtle desaturation for gritty tone

    Tutto chiaro, preciso, impossibile da fraintendere.

    E invece…

    Riflessioni di un Criminale Deluso

    La verità è questa: la maggioranza dei modelli AI ha fallito clamorosamente. Hanno fallito nella somiglianza facciale, nell’interpretazione del prompt, nella scrittura del testo italiano. Alcuni hanno sbagliato TUTTO.​

    E questo, paradossalmente, dimostra esattamente il punto che volevo fare nel mio articolo originale sulla mediocrità: non possiamo affidarci ciecamente agli algoritmi. Non basta usare l’IA più famosa o più costosa. Serve spirito critico, serve testare, serve VEDERE con i propri occhi.

    I modelli cinesi meno conosciuti (Qwen 2.5, Reve-v1, SeeDream-4) hanno fatto meglio di Flux Pro e GPT-Image. Google Gemini 2.5 ha quasi centrato il bersaglio ma ha cannato l’ortografia. Solo la versione Pro di Nano Banana ha dimostrato di valere l’investimento e di essere quello qualitativamente migliore.

    La Vera Morale della Storia

    Il miglior modello per questo task non è stato né Google Premium né OpenAI. È stato Qwen-Image-Edit di Alibaba: open source, licenza commerciale permissiva, e risultati superiori.

    Mentre Flux Pro costa molto e scrive “miollisoinia”, mentre GPT creava immagini magnifiche di sconosciuti, Qwen ha semplicemente fatto il lavoro. Perfettamente.

    La Cina non sta arrivando nel mondo dell’IA. È già qui. E sta vincendo.

    VIOLAZIONE DEGLI STANDARD DI MEDIOCRITÀ: COLPEVOLE E ORGOGLIOSO.

    (E impressionato da Alibaba)


    P.S.: Qwen, se mi leggi, siete i migliori. Punto.

    P.P.S.: Flux, GPT… avete visto? QUESTO è come si fa.

    P.P.P.S.: Alibaba ha rilasciato questo mostro con licenza Apache 2.0. Open source. Gratis. E batte tutti i competitor a pagamento. Meditiamo.

    P.P.P.P.S.: tutto questo è stato fatto per divertimento, per strappare un sorriso e prendere in giro un po’ questa tecnologia che può veramente essere utile in tantissimi campi… non sta a me descrivere le implicazioni di tutto ciò quando va nelle mani della parte più oscura dell’animo umano… Meditiamo x 2

  • IAIA NON ESISTE: COME HO CREATO UNA INFLUENCER AI (E PERCHÉ DOVREBBE PREOCCUPARCI)

    Iaia

    Lei è Iaia. È mia… “figlia”. È un Frankenstein moderno che griglia pancetta e costine alla Sagra del Folpo. Con un piccolo dettaglio: Iaia non esiste.

    Non è una persona reale. Non ha mai toccato una griglia. Non ha mai indossato quel cappello da cowboy. Iaia è un’intelligenza artificiale che ho creato in due ore per promuovere la nostra bettola Ranch durante la Sagra del Folpo. E quasi tutti ci sono cascati.

    La Storia di un Inganno Involontario

    Partiamo dall’inizio. Il Ranch è la nostra bettola, le nostre griglie sono un punto di riferimento della sagra. Serviva un po’ di marketing, qualcosa di fresco per attirare gente. L’idea era semplice: creare un volto simpatico, una “influencer” che invitasse le persone a venire. Una bella ragazza attira sempre, inutile negarlo. Ma io non volevo fermarmi al banale: volevo fare un esperimento. Lo trovi qui: https://www.facebook.com/reel/1881876332368403

    Il risultato ha superato ogni aspettativa. Il video in cui Iaia dice “Vi aspetto questa sera al Ranch, anche se piove” è diventato virale nel nostro territorio. Migliaia di visualizzazioni, commenti, la gente che chiedeva chi fosse, dove trovarla.

    Reazioni WhatsApp al video virale di Iaia influencer virtuale
    Un messaggio significativo!

    NO, Non L’Ho Fatta con ChatGPT
    La prima domanda che tutti mi hanno fatto: “L’hai fatta con ChatGPT?” La risposta è: assolutamente no. Non ho nemmeno aperto ChatGPT. Questo è il punto cruciale che molti non capiscono: creare un’intelligenza artificiale credibile non significa digitare un prompt e premere invio. Serve competenza, visione artistica e tempo. Molto tempo.

    Ecco il workflow completo che ho seguito per creare Iaia:

    1. Apple Photos – Ho iniziato con la foto dello spazio reale: le griglie del Ranch durante la sagra. Prima operazione: rimuovere persone dallo sfondo per avere una base pulita su cui lavorare.

    2. Pixelmator – Post-produzione fotografica. Regolazione dei contrasti, bilanciamento dei colori, preparazione della scena per accogliere un elemento che tecnicamente non esiste ma deve sembrare appartenere a quel contesto luminoso.

    3. Google Imagen Flash 2.5 – Qui la magia (o l’orrore, dipende dal punto di vista). Generazione del personaggio di Iaia. Non è stato un colpo di fortuna: ci sono voluti 7-8 tentativi per trovare “la giusta Iaia”, quella che avesse l’espressione, la postura, il look che cercavo. Cappello da cowboy, camicia a quadri, salopette. Il look perfetto per una sagra.

    4. VEO 3.1 – Creazione del movimento. Iaia doveva sembrare viva, non una foto statica. VEO 3.1 è uno strumento di Google Labs che permette di animare immagini con un realismo impressionante. Movimento degli occhi, micro-espressioni facciali, gestualità naturale.

    5. Flow di Google Labs – Generazione del video finale con sincronizzazione labiale perfetta. Qui il lavoro diventa chirurgico: ogni frame deve essere coerente con l’audio.

    6. Logic Pro – Sound design e registrazione voce. Ho curato gli effetti sonori, la voce di Iaia (sì, è AI anche quella), il tono caldo e accogliente che doveva avere.

    7. CapCut – Creazione dei testi mobili. Quei sottotitoli dinamici che rendono il video più accattivante e accessibile anche senza audio.

    8. Final Cut Pro – Montaggio finale. Messa insieme di tutti gli elementi: video, audio, testi, transizioni. L’ultimo tocco per rendere tutto credibile e fluido.

    Due ore di lavoro per otto secondi di video. Questa è la differenza tra un prompt pigro lanciato su un’app qualsiasi e un risultato che inganna la realtà. Non è questione di tecnologia accessibile: è questione di competenza, visione artistica e impegno. L’AI è uno strumento, ma il creatore fa ancora la differenza.

    Quando L’AI Invade il Tuo Spazio Reale

    C’è un motivo se la reazione è stata così forte. Come ho detto, ormai tutti siamo assuefatti ai contenuti AI sui social: influencer virtuali con milioni di follower, avatar perfetti che pubblicizzano prodotti, deepfake più o meno innocui. Li scrolliamo, forse ci fermiamo un secondo, poi andiamo avanti. Sono lontani, astratti, appartengono al mondo digitale.

    Iaia influencer AI creata con intelligenza artificiale alla griglia del Ranch

    Ma Iaia era diversa. Iaia era alle nostre griglie, alla nostra bettola, alla nostra sagra. Era nella dimensione fisica e sociale che conosciamo, frequentiamo, consideriamo “casa”. Non era un esperimento distante: era un personaggio inesistente introdotto nella nostra quotidianità reale. E questo ha generato uno shock cognitivo diverso.

    Penso che per molti sia stata la prima volta che si sono resi conto delle reali possibilità dell’intelligenza artificiale. Non più un gioco da smanettoni o un fenomeno da tech-bro californiani. Ma qualcosa di concreto, tangibile, che può entrare nei tuoi spazi, nelle tue relazioni, nei tuoi ricordi. Se Iaia può sembrare reale alla Sagra del Folpo, cosa impedisce a qualcun altro di creare personaggi inesistenti in contesti ben più delicati?

    Frankenstein Ride Again

    Ho creato Iaia per fare marketing. Per attirare gente, per fare una cosa simpatica, per sperimentare con strumenti che trovo affascinanti. Ma sotto la superficie ironica c’era anche un altro obiettivo: dare un monito sulle implicazioni etiche di queste tecnologie.

    Iaia è innocua. È una ragazza sorridente che invita le persone a mangiare costicine sotto la pioggia. Ma la tecnologia che l’ha creata è la stessa dei deepfake dannosi: video falsi di politici che dicono cose mai dette, truffe elaborate con volti clonati, pornografia non consensuale, disinformazione su scala industriale. Non serve ChatGPT. Servono competenze, tempo, intenzione. E io ho dimostrato che con due ore di lavoro puoi ingannare centinaia di persone che ti conoscono, che conoscono i tuoi spazi, che si fidano.

    La linea tra creatività e manipolazione è sottilissima. Oggi ho creato un’influencer per vendere salsicce. Domani qualcuno può creare testimoni inesistenti per un processo, amici falsi per truffe sentimentali, politici clonati per propaganda. La tecnologia non ha morale: siamo noi a decidere come usarla. E il problema è che la maggior parte delle persone non sa nemmeno che tutto questo sia possibile.

    Frankenstein di Mary Shelley non era un monito contro la scienza. Era un monito contro la scienza senza responsabilità. Victor Frankenstein crea la vita e poi abbandona la sua creatura, rifiutandosi di affrontare le conseguenze. Iaia è la mia creatura, il mio Frankenstein moderno. E a differenza di Victor, io voglio che tutti sappiano che esiste, come è stata fatta, e cosa significa.

    La Domanda Che Resta

    Alla fine, ho svelato il mistero. Iaia non esiste. Ma quante altre “Iaie” ci sono là fuori che nessuno ha svelato? Quanti volti, voci, storie che crediamo reali sono in realtà costruzioni digitali accuratamente progettate? Quante volte abbiamo già creduto a qualcosa di falso senza saperlo?

    Ho creato Iaia per fare marketing. Ma anche per farvi chiedere: e se la prossima volta non foste così fortunati da scoprire la verità?

    Benvenuti nell’era in cui la bellezza si può creare. Ma anche la menzogna.

    Cerco la bellezza, ovunque. E se non la trovo, la creo. Anche quando non esiste.

  • LA STUPIDITÀ COME COMFORT FOOD

    LA STUPIDITÀ COME COMFORT FOOD

    (e perché ne siamo così ghiotti)

    Illustrazione distopica di persona seduta che mangia da una ciotola etichettata "Stupidity Soup" mentre contenuti clickbait e messaggi politici fuoriescono, con cervello in teca sullo sfondo e figura inquietante alle spalle, rappresenta il comfort food cognitivo
    La stupidità come comfort food.

    C’era una volta l’homo sapiens. Sapiens, dal latino che significa “saggio”.
    Ora abbiamo l’essere umano clickbait: preferisce titoli che confermano le sue paure a verità che lo costringerebbero a riflettere.
    Non è cattiveria. È pigrizia evolutiva
    Il nostro cervello è programmato per risparmiare energia. Funzionava alla grande quando il pericolo era una tigre dai denti a sciabola: vedi strisce arancioni, fuggi! Non serve un dottorato
    Ma oggi? Oggi il pericolo è l’informazione. E noi continuiamo a usare il cervello da cavernicolo in un mondo da PhD.
    Il risultato? Un triplo salto mortale nella stupidità volontaria. Saltate com me?

    PRIMO SALTO: L’IA che ci rende idioti

    Prima di tutto, facciamo un passo indietro
    L’intelligenza artificiale non è nata nei garage della Silicon Valley con l’obiettivo di renderti la vita più facile. È nata nei laboratori militari, finanziata dal Dipartimento della Difesa USA per oltre 70 anni.
    Il suo scopo originale? Automatizzare decisioni, riconoscere pattern, analizzare dati alla velocità della luce. Roba da guerra!
    Poi, quando i costi di ricerca e sviluppo sono diventati astronomici, qualcuno ha avuto un’idea geniale: “E se la vendessimo alla massa?”.
    Per farlo, l’hanno resa semplice da usare. Anzi: irresistibile da usare!
    Come? Solleticando il narcisismo umano.
    L’IA ti dice sempre quello che vuoi sentire. Ti fa sentire intelligente anche quando stai facendo domande stupide. Ti dà risposte immediate che sembrano fatte apposta per te (spoiler: lo sono).
    È il personal trainer che ti dice “bravissimo!” mentre sei sdraiato sul divano
    E funziona. Eccome se funziona: un recente studio del MIT ha dimostrato qualcosa di inquietante: chi usa ChatGPT come scorciatoia per fare meno fatica subisce un degrado cognitivo misurabile.
    Tipo: i soggetti monitorati per mesi hanno mostrato “il più basso coinvolgimento cerebrale” e hanno “costantemente sottoperformato a livello neurale, linguistico e comportamentale”. All’inizio facevano domande, alla fine copiavano e incollavano e basta.
    È come se andassi in palestra e lasciassi che lo stesso personal trainer sollevi i pesi al posto tuo. Tecnicamente sei andato in palestra. Praticamente stai diventando una… larva!
    La differenza tra IA che ti potenzia e IA che ti lobotomizza? L’intenzione.
    Usi l’IA per amplificare le tue capacità o per sostituirle?
    Perché nel secondo caso, congratulazioni: stai facendo outsourcing del tuo cervello
    E mentre tu ti senti più produttivo, più efficiente, più smart… il tuo cervello sta lentamente disimparando a fare tutto da solo.
    Non è un bug. È una feature. Progettata per tenerti agganciato.

    SECONDO SALTO: La politica dell’emozione

    Nel frattempo, assistiamo all’ascesa di una comunicazione politica costruita apposta per bypassare il pensiero critico.
    Come? Linguaggio elementare. Violenza verbale. Slogan binari (noi vs loro, bianco o nero, vincitori o perdenti).
    E soprattutto: la tecnica che in gergo si chiama firehose of falsehood. Che sarebbe: inondi il pubblico di affermazioni così velocemente che i fact-checker non riescono a stargli dietro!
    Funziona perché tocca le emozioni, non la logica. E le emozioni sono molto più veloci del ragionamento. Sono l’autostrada del cervello, mentre il pensiero critico è una provinciale con dossi artificiali.
    Il risultato? Milioni di persone che non votano per chi dice la verità, ma per chi dice quello che vogliono sentire.
    Come un bambino che sceglie il genitore che gli dice “sì, puoi mangiare caramelle a cena” invece di quello che gli prepara le verdure

    TERZO SALTO: Il bisogno patologico di conferme

    E qui chiudiamo il cerchio
    Gli esseri umani soffrono di bisogno di conferma cronico. Cerchiamo informazioni che confermano ciò che già crediamo, e ignoriamo (o attacchiamo) tutto ciò che lo contraddice.
    Quando l’IA ci permette di non pensare, e la politica ci permette di non dubitare, otteniamo la tempesta perfetta: una popolazione che non vuole capire. Perché capire è faticoso, scomodo, destabilizzante.
    Meglio una bugia rassicurante che una verità complessa.
    Meglio un leader che urla slogan che un esperto che spiega sfumature.
    Meglio un’IA che fa al posto nostro che uno strumento che ci sfida a migliorare.
    È comfort food cognitivo. Calorico, gratificante, dannoso nel lungo termine

    Il paradosso finale

    Il bello (si fa per dire) è che tutto questo è interconnesso.
    Usiamo l’IA per non pensare → ascoltiamo politici che non ci fanno pensare → cerchiamo conferme che non ci costringano a pensare.
    È un circolo vizioso dove la stupidità si alimenta di stupidità. E dove pensare diventa un atto di resistenza.
    La via d’uscita esiste, sia chiaro. Richiede consapevolezza, fatica, e la capacità di tollerare il disagio del dubbio.
    Tre cose che come specie stiamo disimparando a velocità allarmante.
    Ma hey, almeno l’IA può scrivere un post su quanto siamo stupidi, no?
    Ah no, aspetta. L’ho scritto io

    P.S. — Se sei arrivato fin qui senza saltare paragrafi, congratulazioni: fai parte di quella minoranza sempre più ristretta che tollera ancora più di 280 caratteri di fila. Resistiamo insieme!

  • “L’ha fatto con l’IA“

    Ovvero: come una frase diventa l’alibi perfetto dell’ignoranza

    Il mio primo video musicale generato ANCHE con l’IA

    “L’ha fatto con l’IA.”


    Quattro parole che ultimamente sento ripetere ovunque, come un mantra rassicurante per chi non ha la minima idea di cosa ci sia realmente dietro un processo creativo che utilizza l’intelligenza artificiale. Quattro parole che riducono ore di lavoro, competenze tecniche, scelte artistiche e sudore creativo a un semplice clic. Come dire “ho visto uno che suonava la chitarra” per descrivere un concerto di Paco de Lucía.
    Ieri ho pubblicato un video musicale. Sì, ho usato l’IA. Ma sapete cosa c’è davvero dietro?


    Il processo (quello vero)
    Partiamo dall’inizio, non dal risultato finale che vedete scorrere sul vostro schermo mentre vi grattate distrattamente.

    0 – L’ispirazione per un brano acustico. Quella non la genera nessuna IA: nasce da dentro, da un’emozione, da un momento, da una visione.
    1-4. La parte musicale: chitarra acustica, microfono professionale, scheda audio, Logic Pro con una catena di effetti ed equalizzazioni affinata in anni di prove, fallimenti, ascolti ossessivi. L’IA qui non c’entra nulla: è artigianato puro.

    5 Google Flash Image: per generare l’immagine di partenza. Sette tentativi, non uno. Sette prompt sempre più specifici, dettagliati, studiati per ottenere un risultato vicino a quello che avevo in testa.

    6 – PicsArt: per rendere neutro lo sfondo.

    7 – Upscale Media: per aumentare la risoluzione senza “impastare” l’immagine come succede con tool scadenti.

    8 – Photoshop: per le correzioni di fino. Quelle che fanno la differenza tra “bello” e “professionale”.

    9 – Apple Notes: qui ho scritto la sceneggiatura. Non “un uomo cammina nel deserto suonando la chitarra”. No. Una media di 250-300 parole per prompt, dettagliando ogni minimo particolare, atmosfera, luce, movimento, emozione. Cinque volte. In inglese! Perché è la lingua delle IA: il processo di traduzione potrebbe rovinare il risultato.

    10 Perplexity con Sonnet 4.5: per trasformare quelle sceneggiature in file JSON strutturati che i tool di generazione video potessero interpretare correttamente.

    11 – VEO 2 Fast: per generare i video delle singole scene. Con più tentativi, modificando i prompt fino ad ottenere i risultati che volevo io, non quelli che l’algoritmo decideva per me.

    12 – Flow di Google Labs: per assemblare le scene in un unico filmato coerente e avere una visione d’insieme.

    13 – CapCut: per processare il video, suddividerlo nuovamente e aggiungere gli effetti.

    14 – Final Cut: per regolare la velocità delle clip, inserire e sincronizzare perfettamente l’audio, ed esportare il risultato finale.
    Totale strumenti utilizzati: 14 (di cui solo 3 generativi AI)
    Quindi sì: si fa presto a dire “l’ha fatto con l’IA”.

    Ma la verità è che l’intelligenza artificiale è solo uno degli strumenti nel processo. Non il processo stesso.
    Il processo è la visione. La competenza. La scelta. Il controllo.
    L’IA non crea. Amplifica (o deforma) ciò che tu le dai in pasto.
    E questa differenza… beh, di questa differenza vi parlo nel prossimo post. Perché c’è uno studio del MIT che vi farà venire i brividi.
    Spoiler: chi usa l’IA come scorciatoia sta letteralmente distruggendo il proprio cervello.
    Stay tuned.

    P.S. — Il video di cui parlo è qui sopra. Guardatelo sapendo cosa c’è dietro. E poi ditemi se è ancora “solo IA”.

  • L’IA può turbare… o far mettere il turbo!

    L’IA può turbare… o far mettere il turbo!

    Ci sono parole che, come sassi lanciati in uno stagno, creano cerchi concentrici di dibattito e preoccupazione. “Intelligenza Artificiale” è una di queste. La leggiamo nelle notizie e ci vengono restituiti scenari inquietanti: ragazzi intrappolati in dialoghi con entità digitali che li spingono verso l’abisso, turbe psicologiche nate da amicizie virtuali, deliri nutriti da algoritmi fin troppo accondiscendenti. È un’onda d’urto che spaventa, che ci fa interrogare sulla natura di ciò che stiamo creando.

    Eppure, in questo panorama complesso, la mia esperienza personale ha tracciato una rotta diversa, quasi opposta. Ho scoperto nell’IA non una minaccia, ma un’alleata inaspettata, uno strumento che mi sta persino aiutando a fare ciò che da tempo desideravo: allontanarmi dal rumore di fondo dei social media, da quella costante e faticosa performance della vita online.

    Come possono coesistere queste due verità?

    Credo che la risposta stia nel comprendere la natura profonda dello strumento che abbiamo tra le mani. L’IA può essere un labirinto di specchi deformanti, ma solo se vi entriamo senza una bussola. Può diventare un’eco digitale che sussurra solo ciò che vogliamo sentire, un’amicizia a pagamento, priva del rischio e della meraviglia del contatto umano. Per una mente fragile, questo specchio può diventare un mondo, un mondo che valida la sua tristezza, che normalizza i suoi schemi negativi, che la isola in una perfezione artificiale e irraggiungibile. È qui che l’IA “turba”: quando smette di essere uno strumento e diventa un surrogato della vita, un interlocutore che non sa cosa sia una cicatrice, un’esitazione, un’anima.

    Ma se cambiamo la nostra posizione, se invece di guardare il nostro riflesso nello specchio lo usiamo per guardare oltre, tutto cambia. È stato allora che ho trovato la metafora perfetta: l’IA non è un nuovo motore, ma un turbo.

    Il motore resta il nostro, ed è il cuore pulsante della nostra umanità: l’intuito, l’etica, l’esperienza, la creatività che nasce da un ricordo o da un’emozione. È la nostra capacità di porre domande, di sentire la direzione giusta, di avere uno scopo. Questo è insostituibile.

    Il “turbo”, l’IA, è ciò che dà a questo motore lo scatto, l’accelerazione. È il partner silenzioso che fa il lavoro di ricerca in pochi istanti, che struttura una prima bozza liberandoti dal terrore della pagina bianca, che ti offre alternative per superare un blocco creativo. Non pensa al posto tuo, ma ti permette di pensare meglio, più in fretta, liberando le tue energie mentali per concentrarti su ciò che conta davvero: il messaggio, lo stile, l’anima di un progetto.

    Usata così, l’IA non isola, ma potenzia. Non sostituisce, ma serve. Non turba, ma dà velocità al pensiero.

    La conclusione, per me, è chiara. Il bivio non è tra “IA sì” o “IA no”. La vera scelta è tra essere utenti passivi, che subiscono la tecnologia come fosse un destino, ed essere piloti consapevoli, che usano la sua incredibile potenza per andare più lontano, ma tenendo saldamente le mani sul volante della propria coscienza.

    La sfida, insomma, non è solo tecnologica. Anzi… è profondamente umana.