Categoria: Pensieri

  • Una questione d’amore. (E di tradimento)

    C’è un momento, quando le dita si appoggiano sui tasti…

    C’è un momento, un istante sospeso nel silenzio.

    È quando le dita si appoggiano sui tasti, quando la mano stringe una penna, quando le labbra si schiudono a un soffio dal microfono. In quell’istante, tutto ciò che esiste è un rapporto a due. Io e lei. L’idea, la melodia, l’emozione che preme per uscire.

    È una conversazione intima, quasi segreta. Un patto di verità assoluta, senza maschere né filtri. È come stare con un’amante: puoi solo essere te stesso, nudo e scoperto. Lei conosce le tue crepe, le tue paure, e ti chiede solo di essere onesto.

    Questa cosa che nasce è la cosa più mia che esista.

    Poi, però, arriva il mondo.

    Quella porta si apre e quella conversazione privata diventa un monologo pubblico. Quella cosa così mia, all’improvviso, diventa di tutti.

    E qui, proprio qui, si annida il rischio del più squallido dei tradimenti.

    Il momento esatto in cui il tuo sguardo si sposta da lei – dalla tua amante, dalla tua verità – e si fissa su di loro. Sul pubblico. E non per cercare uno scambio di sguardi complici, ma per mendicare un’approvazione. Per un applauso. Per un like.

    In quell’istante, l’intimità si spezza. Inizi a mentire. A lei, e a te stesso.

    “Forse questo passaggio è troppo difficile, non piacerà.”

    “Magari questa parola è troppo dura, meglio ammorbidirla.”

    “Se cambio questo accordo, suonerà più commerciale.”

    Ogni piccola concessione è un pezzo di lei che vendi. E senza accorgertene, hai smesso di essere il suo amante e sei diventato il suo pappone. L’hai presa, l’hai vestita come volevano gli altri e l’hai messa sul marciapiede del consenso facile. L’hai trasformata in una prostituta.

    Non fraintendermi. Vedere la tua anima risuonare in quella di un altro è un miracolo. È la forma più alta di connessione. Ma la connessione nasce dalla verità condivisa, non dalla menzogna costruita per compiacere.

    Non so voi, ma io una scelta ho dovuto farla.

    Continuo a scrivere, a suonare e a cantare per lei. Per quella conversazione a due nel silenzio della stanza.

    Se poi, quando apro la porta, qualcuno si ferma ad ascoltare e ci si riconosce, allora la magia si è compiuta. Ma non è quello il fine. È solo una conseguenza meravigliosa.

    Il fine è rimanere fedeli.

    Almeno a lei. E un po’, forse, anche a se stessi.

  • L’IA può turbare… o far mettere il turbo!

    L’IA può turbare… o far mettere il turbo!

    Ci sono parole che, come sassi lanciati in uno stagno, creano cerchi concentrici di dibattito e preoccupazione. “Intelligenza Artificiale” è una di queste. La leggiamo nelle notizie e ci vengono restituiti scenari inquietanti: ragazzi intrappolati in dialoghi con entità digitali che li spingono verso l’abisso, turbe psicologiche nate da amicizie virtuali, deliri nutriti da algoritmi fin troppo accondiscendenti. È un’onda d’urto che spaventa, che ci fa interrogare sulla natura di ciò che stiamo creando.

    Eppure, in questo panorama complesso, la mia esperienza personale ha tracciato una rotta diversa, quasi opposta. Ho scoperto nell’IA non una minaccia, ma un’alleata inaspettata, uno strumento che mi sta persino aiutando a fare ciò che da tempo desideravo: allontanarmi dal rumore di fondo dei social media, da quella costante e faticosa performance della vita online.

    Come possono coesistere queste due verità?

    Credo che la risposta stia nel comprendere la natura profonda dello strumento che abbiamo tra le mani. L’IA può essere un labirinto di specchi deformanti, ma solo se vi entriamo senza una bussola. Può diventare un’eco digitale che sussurra solo ciò che vogliamo sentire, un’amicizia a pagamento, priva del rischio e della meraviglia del contatto umano. Per una mente fragile, questo specchio può diventare un mondo, un mondo che valida la sua tristezza, che normalizza i suoi schemi negativi, che la isola in una perfezione artificiale e irraggiungibile. È qui che l’IA “turba”: quando smette di essere uno strumento e diventa un surrogato della vita, un interlocutore che non sa cosa sia una cicatrice, un’esitazione, un’anima.

    Ma se cambiamo la nostra posizione, se invece di guardare il nostro riflesso nello specchio lo usiamo per guardare oltre, tutto cambia. È stato allora che ho trovato la metafora perfetta: l’IA non è un nuovo motore, ma un turbo.

    Il motore resta il nostro, ed è il cuore pulsante della nostra umanità: l’intuito, l’etica, l’esperienza, la creatività che nasce da un ricordo o da un’emozione. È la nostra capacità di porre domande, di sentire la direzione giusta, di avere uno scopo. Questo è insostituibile.

    Il “turbo”, l’IA, è ciò che dà a questo motore lo scatto, l’accelerazione. È il partner silenzioso che fa il lavoro di ricerca in pochi istanti, che struttura una prima bozza liberandoti dal terrore della pagina bianca, che ti offre alternative per superare un blocco creativo. Non pensa al posto tuo, ma ti permette di pensare meglio, più in fretta, liberando le tue energie mentali per concentrarti su ciò che conta davvero: il messaggio, lo stile, l’anima di un progetto.

    Usata così, l’IA non isola, ma potenzia. Non sostituisce, ma serve. Non turba, ma dà velocità al pensiero.

    La conclusione, per me, è chiara. Il bivio non è tra “IA sì” o “IA no”. La vera scelta è tra essere utenti passivi, che subiscono la tecnologia come fosse un destino, ed essere piloti consapevoli, che usano la sua incredibile potenza per andare più lontano, ma tenendo saldamente le mani sul volante della propria coscienza.

    La sfida, insomma, non è solo tecnologica. Anzi… è profondamente umana.

  • L’arte di disimparare (per poi dover pagare per ricordare)

    Prima vignetta di un fumetto. In un ufficio, una donna con un'espressione soddisfatta dice al suo collega: "Mi sono iscritta ad un corso di mindfulness! Un po' caro ma molto utile". L'uomo, seduto al suo fianco, risponde con calma: "Anche io lo faccio. Gratis."
    Seconda vignetta del fumetto. La donna, ora con un'espressione sbigottita, chiede: "Gratis??? Ma... come?". L'uomo le spiega serenamente, senza staccare gli occhi dal suo computer: "Sì! Lunghe passeggiate nella natura, giretti tranquilli in moto, contemplazione del cielo steso sul prato in giardino..."
    Terza e ultima vignetta del fumetto. La donna, contrariata, ribatte: "Ma non è la stessa cosa!". L'uomo, con un sorriso saggio e un po' sornione, le dà la battuta finale: "Lo era finché qualcuno non ha deciso che devi pagare per farti insegnare cose che già sai..."

    A volte mi fermo a pensare a quanto sia diventato complicato fare le cose semplici. Viviamo in un’epoca straordinaria, con un accesso all’informazione e a strumenti che i nostri nonni non avrebbero potuto nemmeno sognare. Eppure, in questo oceano di possibilità, sembra che abbiamo perso la bussola per le cose fondamentali.

    Ci siamo talmente abituati al rumore di fondo, al flusso costante di notifiche, tutorial e “life hacks”, da dimenticare che molte delle risposte che cerchiamo sono già dentro di noi. Sono silenziose, non hanno un’app dedicata e, cosa più sconvolgente per il mercato, sono gratuite.

    Prendiamo la capacità di essere presenti, di goderci un momento. Oggi la chiamiamo “mindfulness”. È diventata un prodotto. Un’industria. Ci sono corsi, webinar, ritiri a pagamento per insegnarci a fare qualcosa che ogni bambino sa fare istintivamente: meravigliarsi di una formica che cammina, perdersi a guardare le nuvole, sentire il calore del sole sulla pelle senza doverlo postare su Instagram.

    Non fraintendetemi, ogni percorso di crescita è valido. Ma la mia riflessione è più amara, più cinica: siamo arrivati al punto di dover pagare qualcuno perché ci dia il permesso di disconnetterci? Di dover seguire un metodo strutturato per riscoprire il piacere di una passeggiata senza meta?

    Io ho i miei rituali. Non hanno un nome altisonante, non rilasciano un certificato di partecipazione. A volte è il borbottio del motore della moto che si placa quando mi fermo in cima a una collina. Altre volte è il fruscio delle foglie durante una camminata nel bosco. Spesso, è semplicemente il silenzio del mio giardino di notte, con lo sguardo perso verso un cielo che se ne frega altamente dei miei problemi e delle mie scadenze.

    Questa è la mia “consapevolezza”. Non l’ho imparata, l’ho sempre saputa. L’avevo solo dimenticata, sepolta sotto strati di urgenze, doveri e distrazioni digitali.

    Forse il vero lusso, oggi, non è potersi permettere il corso più esclusivo. Forse è avere il coraggio di spegnere tutto e ascoltarsi. Riscoprire quelle piccole pratiche personali che ci rimettono in sesto, senza bisogno che un esperto ci dica come e quando farle.

    Il punto a cui sono arrivato è che la società moderna non ci vende soluzioni a problemi nuovi. Spesso, ci vende a caro prezzo le soluzioni a problemi che lei stessa ha creato. Ci toglie il tempo, la pace e la capacità di ascoltarci, per poi venderci surrogati in pillole, corsi e abbonamenti.

    Un meccanismo geniale, a pensarci bene. Terribilmente geniale.

    E voi? Qual è quella cosa semplice, quel vostro piccolo rituale gratuito, che vi rifiutate di farvi portare via o di dover “re-imparare” a pagamento?

    Fatemi sapere. O anche no. Magari, invece di scrivere un commento, andate a fare quella cosa.

    Funzionerà meglio.

  • Stay Human – Restare umani quando il mondo impazzisce

    Ascolta il brano anche su: Apple Music, Amazon Music, YouTube

    Viviamo in un’epoca in cui la parola pace sembra diventata un’utopia e il semplice rimanere umani un atto di follia. 🌍

    La Palestina e Gaza, dall’Ucraina all’Africa, i nomi cambiano ma la tragedia resta la stessa: innocenti sacrificati nei giochi di potere, quando non veri e propri genocidi.

    Proprio per questo, il brano Stay Human del nostro album Divergent Tales (uscito lo scorso anno), oggi suona ancora più urgente e necessario. Non è solo una canzone: è un appello, un grido, un promemoria per non smarrire la luce dentro di noi.

    Ecco il testo, tradotto in italiano:

    Nei corridoi del potere, dove strisciano le ombre,
    figure immense giocano a un gioco oscuro.
    Con un lancio di dadi decidono il destino,
    di vite invisibili, un peso insopportabile.

    Sussurri riecheggiano nei palazzi di marmo,
    ogni parola una mossa, mentre il buio chiama.
    Gli innocenti diventano semplici pedine,
    mentre i potenti perdono la via.

    Si arrampicano così in alto, toccano il cielo,
    ma perdono l’anima in un battito di ciglia.
    La corona pesa, il trono è una gabbia,
    mentre firmano i loro nomi sulla pagina della storia.

    Resta umano, di fronte alla notte,
    aggrappati a ciò che è giusto e corretto.
    Non lasciare che l’oscurità consumi la tua luce,
    Resta umano, continua a lottare.


    Il martello cade e il silenzio regna,
    il pianto di un bambino, il dolore di una madre.
    Ordini impartiti senza ripensamenti,
    per le vite di chi ha combattuto.

    Un’illusione di grandezza, una trance divina,
    credendo di avere il mondo nelle mani.
    Ma ogni impero crolla, ogni regno finisce,
    e tra le rovine, quale messaggio rimarrà?

    Resta umano, non perdere il cuore,
    alla fine tutti abbiamo una parte.
    In questo mondo che può dividerci,
    Resta umano, è da lì che si riparte.


    Puoi sentire la preghiera nel vento?
    È un richiamo a rialzarsi, a ricucire.
    A ricordare la forza dentro di noi,
    a scegliere la vita, a difenderla.

    Resta umano, è la nostra preghiera,
    per un mondo dove siamo tutti liberi.
    Davanti alla tirannia,
    Resta umano, lascia che sia.


    Così quando la notte è fredda e resti solo,
    ricorda l’amore che hai sempre conosciuto.
    Nel cuore dell’umanità, lascia che risplenda:
    Resta umano, è scolpito nella pietra.


    80 Hundred Miles – Chi siamo

    Siamo nati come un trio “a distanza”:

    • Ricky – L’Italian Rocker, 50 anni, anima rock che porta con sé le vibrazioni immortali dei ’70 e ’80.
    • Michal- Il Dutch Maestro, 32 anni, alchimista di elettronica e sperimentazione.
    • Michiko – La Japanese Metalhead, 27 anni, pura energia metal che incendia ogni riff.

    E poi la famiglia, durante il viaggio, è aumentata:

    • Nguyet, 42 anni dal Vietnam, polistrumentista, anima ritmica e chitarrista dal groove inossidabile.
    • Cody, 18 anni dagli Stati Uniti, giovane virtuoso della chitarra solista, la freschezza che spinge lo sguardo verso il futuro.

    Ci chiamiamo 80 Hundred Miles perché le distanze ci dividono, ma è proprio quella distanza a darci forza: dimostra che la musica non ha confini, né di spazio, né di età, né di stile.

    I nostri valori sono semplici, ma radicali:

    • Restare umani in un mondo che ci spinge a dimenticarlo.
    • Creare ponti invece che muri.
    • Cantare la diversità come armonia.

    Ogni nota è un passo che ci avvicina. Ogni canzone è una dichiarazione di resistenza.


    👉 Chiudo il post con un invito:

    “Se anche tu credi che restare umani sia l’unica vera rivoluzione, ascolta Stay Human. Condividila. E, soprattutto, vivila.”

  • Ci fregano sempre con le parole.

    Vacanze: evasione dalla prigione del quotidiano o libertà vigilata?

    C’è un inganno sottile nel modo in cui parliamo di vacanze. Usiamo parole da latitanti – “scappare”, “evadere”, “fuggire” – che hanno più il sapore del ferro che della salsedine.

    Ma perché usiamo un vocabolario da criminali? Sembra quasi che la nostra vita sia una prigione da cui fuggire e non un’esistenza da abitare. È come se l’ordinario fosse una condanna da scontare dietro sbarre fatte di doveri e divieti, e la spiaggia diventasse una breve, illusoria libertà vigilata.

    Forse è arrivato il momento di cambiare vocabolario, e con esso la prospettiva.

    Non più scappare, ma scegliere un tempo diverso.

    Non più evadere, ma respirare a pieni polmoni.

    Non più fuggire, ma ritrovarsi.

    Perché se la vacanza è l’espressione massima della libertà, allora il resto dell’anno non può essere prigionia. Dovrebbe essere l’allenamento costante a quella libertà. Solo così possiamo imparare a trovare una crepa anche nel lunedì più denso, un frammento di tramonto anche nella luce artificiale di un ufficio.

    Altrimenti la verità è una sola: non siamo persone in vacanza, ma carcerati con il biglietto del treno in tasca.

  • l 1 settembre è il nuovo 31 dicembre (con meno spumante e più caffè)

    Buon anno nuovo, ma solo per chi ha fatto ferie

    Il 1 settembre è il vero Capodanno.

    Si torna in ufficio come se fosse un aeroporto intercontinentale: qualcuno atterra piano, qualcuno si schianta in pista.

    I buoni propositi non li scriviamo a dicembre — troppo occupati a digerire pandori e parenti — ma ora: “Quest’anno sarò organizzato”, “Quest’anno non berrò cinque caffè al giorno”, “Quest’anno risponderò alle mail entro 24 ore”.

    Illusioni, ovviamente. Ma bellissime illusioni, fresche come un’agenda appena scartata.

    Il 1 settembre è la vera mezzanotte dell’anno: nessun conto alla rovescia, nessun tappo che salta. Solo la porta dell’ufficio che si apre. E un cuore che batte più forte del suono di qualsiasi fuoco d’artificio.

  • Caorle, o di come un luogo può diventare un sogno.

    Caorle, o di come un luogo può diventare un sogno.

    Ci sono luoghi che attraversiamo e ci lasciano addosso soltanto fotografie. E poi ci sono luoghi che ci abitano. Non semplici coordinate su una mappa, ma porti sicuri dell’anima: specchi in cui ritroviamo parti di noi che credevamo perdute, o che ancora speriamo di diventare. Per me, Caorle è questo.

    Oggi ci sono tornato. Camminare tra i suoi viali e calli strette è stato come riaprire un dialogo interrotto: con un vecchio amico, ma soprattutto con una versione più giovane di me. Ricordo ancora il pensiero che qui, anni fa, mi attraversò come una corrente silenziosa: “Un giorno, quando andrò in pensione, verrò a vivere qui.” Fantasia estiva? Capriccio? Forse un patto. Quasi una promessa che il futuro, prima o poi, mi presenterà sotto forma di mare e orizzonte. Perché Caorle è sì un borgo di pescatori mirabilmente conservato.

    Ma è soprattutto un ritmo. Il ritmo lento delle barche che sonnecchiano nel porticciolo dopo la fatica. Il sole che accarezza i muri colorati come un amante gentile. Il vento che sussurra, piegando appena le vele, sfiorando le pietre come se volesse confidare loro un segreto antico. È una tregua dal rumore del mondo.

    Il Centro Storico di Caorle

    Passeggiando, mi sono fermato a osservare i dettagli che solo un occhio in cerca di bellezza può trattenere: la luce che si frantuma sull’acqua del lungomare, trasformandola in un tesoro liquido e dorato; il campanile cilindrico che veglia sul mare e sul tempo stesso; la Madonna dell’Angelo, protesa come una mano fin dentro l’acqua, custode di una leggenda che sa di miracolo e di sale; i Casoni dei pescatori, sentinelle di una tradizione che resiste, come vecchi saggi che non hanno fretta di andarsene. Qui ogni angolo diventa un verso già scritto. Ogni facciata colorata è un dipinto che si contempla in silenzio. Ogni passo, parte di un poema che non ha bisogno di rime per esistere.

    Il sogno di invecchiare qui non nasce dalla resa, ma dalla scelta. La scelta di abitare una bellezza che non ha bisogno di gridare per esistere. Una bellezza che sa attendere. Che respira al ritmo del mare.

    L’ Anima Marinara di Caorle

    Forse tutti abbiamo una nostra Caorle.Un luogo che non è un ricordo, ma una promessa. La mia sa di sale e di reti stese ad asciugare al sole. E porta con sé l’immagine di un futuro sereno, scritto tra le onde e i colori delle case.

  • La Pace richiede coraggio.

    Pace. La forza del perdono.

    La Pace richiede coraggio.
    Il Perdono richiede forza.
    Eppure… ci insegnano il contrario.

    I vigliacchi e i deboli dominano, imponendo la cultura dell’odio, della vendetta, del conflitto.
    Sono quelli che nascondono la loro fragilità dietro il potere.
    Sono quelli che alimentano la paura per controllare.
    Sono quelli che insegnano ad odiare per non essere odiati.

    Si può scegliere di non essere come loro.
    O si può scegliere di essere loro burattini. Spesso inconsapevolmente.

    Un mio post di qualche tempo fa. Drammaticamente attuale.

  • Disarmoniche Armonie

    Ho un grosso problema.
    Oppure una grande fortuna.
    Dipende dai punti di vista. Dai momenti. Dalle situazioni.
    Geni vecchi di almeno 800 anni albergano allegramente nel mio DNA, retaggio di un antenato rinomato pittore e artista.
    Daltronde, il soprannome del ramo della famiglia da cui discendo è “Poeta”, anche se non si sa di preciso quando è stato partorito.
    Il problema è che questi geni sono andati completamente fuori controllo e, con l’avanzare dell’età (50!), sento sempre maggiore il bisogno di SFOGARE questa maledetta creatività che mi fa andare il cervello alla velocità della luce!
    Anzi, di più! Perchè a volte butto fuori cose che nemmeno ho ancora pensato!
    Quindi… canto, suono, compongo, produco , mixo e così via.
    Ma anche scrivo! Racconti, brani, pensieri personali, poesie e così via.
    Ma anche disegno! A china, fumetti, comics e così via.
    Ma adoro anche la fotografia! Bianco e nero, paesaggi, noir, ritratti, nudi artistici e… si! Così via!
    Una volta, da bambino, mangiavo il minestrone. Come al solito mi divertivo a creare figure usando i pezzetti di verdura di diverso colore per creare figure, disegni e così v… ehmmm… e via dicendo!
    Avevamo degli ospiti, per cui mio padre (i geni artistici l’hanno saltato con un triplo carpiato con avvitamento…) ha cominciato a sgridarmi di brutto che non si gioca con il cibo, che bla bla bla…
    Uno degli invitati, che mi osservava da un po’, lo ha guardato e ha ribattuto: “Lascialo stare! Non vedi che hai un artista in casa? Anche mentre mangia crea…”
    Ok, tutto bello? NO!
    Per colpa di questi maledetti Social!
    Fantastici per diffondere l’Arte, in grado di dare una visibilità senza precedenti! Ma ad una condizione:
    Canti? Puoi cantare e basta, non azzardarti a fare altro.
    Suoni? Bravissimo! Continua a farlo e a fare solo quello!
    Scrivi una canzone Metal Prog? Ci sta, ma se quella dopo è un Funky Jazz, sei una merda.
    E se fai musica, non puoi essere uno scrittore!
    E se sei un illustratore non credere di poter fare anche foto.
    Perchè?
    Ma perchè sennò l’algoritmo fa confusione, poverino! E se fa confusione, ti penalizza e non fa vedere nulla di quello che fai.
    Proprio come la maggior parte degli esseri umani, conformati e conformisti e guai ad uscire dal seminato.
    Quindi sapete dico?
    ALGORITMO! PRRRRRRRRRRRR! VATTELO A PIJA’ IN… ok, avete capito.

    Bene. Questa ora è casa mia e anche il dominio è mio. Quindi faccio quel cavolo che mi pare.
    Scrivo per chi ama leggere, non scrollare.
    Faccio musica per chi ama ascoltare, non solo sentire in sottofondo.
    Disegno per dare forza alle mie idee e ai miei pensieri, non per colorare.
    Fotografo per catturare attimi pesanti, non bocche a culo di gallina.
    Se vi piace bene…
    Altrimenti andate anche voi assieme all’algoritmo.