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  • L’arte di disimparare (per poi dover pagare per ricordare)

    Prima vignetta di un fumetto. In un ufficio, una donna con un'espressione soddisfatta dice al suo collega: "Mi sono iscritta ad un corso di mindfulness! Un po' caro ma molto utile". L'uomo, seduto al suo fianco, risponde con calma: "Anche io lo faccio. Gratis."
    Seconda vignetta del fumetto. La donna, ora con un'espressione sbigottita, chiede: "Gratis??? Ma... come?". L'uomo le spiega serenamente, senza staccare gli occhi dal suo computer: "Sì! Lunghe passeggiate nella natura, giretti tranquilli in moto, contemplazione del cielo steso sul prato in giardino..."
    Terza e ultima vignetta del fumetto. La donna, contrariata, ribatte: "Ma non è la stessa cosa!". L'uomo, con un sorriso saggio e un po' sornione, le dà la battuta finale: "Lo era finché qualcuno non ha deciso che devi pagare per farti insegnare cose che già sai..."

    A volte mi fermo a pensare a quanto sia diventato complicato fare le cose semplici. Viviamo in un’epoca straordinaria, con un accesso all’informazione e a strumenti che i nostri nonni non avrebbero potuto nemmeno sognare. Eppure, in questo oceano di possibilità, sembra che abbiamo perso la bussola per le cose fondamentali.

    Ci siamo talmente abituati al rumore di fondo, al flusso costante di notifiche, tutorial e “life hacks”, da dimenticare che molte delle risposte che cerchiamo sono già dentro di noi. Sono silenziose, non hanno un’app dedicata e, cosa più sconvolgente per il mercato, sono gratuite.

    Prendiamo la capacità di essere presenti, di goderci un momento. Oggi la chiamiamo “mindfulness”. È diventata un prodotto. Un’industria. Ci sono corsi, webinar, ritiri a pagamento per insegnarci a fare qualcosa che ogni bambino sa fare istintivamente: meravigliarsi di una formica che cammina, perdersi a guardare le nuvole, sentire il calore del sole sulla pelle senza doverlo postare su Instagram.

    Non fraintendetemi, ogni percorso di crescita è valido. Ma la mia riflessione è più amara, più cinica: siamo arrivati al punto di dover pagare qualcuno perché ci dia il permesso di disconnetterci? Di dover seguire un metodo strutturato per riscoprire il piacere di una passeggiata senza meta?

    Io ho i miei rituali. Non hanno un nome altisonante, non rilasciano un certificato di partecipazione. A volte è il borbottio del motore della moto che si placa quando mi fermo in cima a una collina. Altre volte è il fruscio delle foglie durante una camminata nel bosco. Spesso, è semplicemente il silenzio del mio giardino di notte, con lo sguardo perso verso un cielo che se ne frega altamente dei miei problemi e delle mie scadenze.

    Questa è la mia “consapevolezza”. Non l’ho imparata, l’ho sempre saputa. L’avevo solo dimenticata, sepolta sotto strati di urgenze, doveri e distrazioni digitali.

    Forse il vero lusso, oggi, non è potersi permettere il corso più esclusivo. Forse è avere il coraggio di spegnere tutto e ascoltarsi. Riscoprire quelle piccole pratiche personali che ci rimettono in sesto, senza bisogno che un esperto ci dica come e quando farle.

    Il punto a cui sono arrivato è che la società moderna non ci vende soluzioni a problemi nuovi. Spesso, ci vende a caro prezzo le soluzioni a problemi che lei stessa ha creato. Ci toglie il tempo, la pace e la capacità di ascoltarci, per poi venderci surrogati in pillole, corsi e abbonamenti.

    Un meccanismo geniale, a pensarci bene. Terribilmente geniale.

    E voi? Qual è quella cosa semplice, quel vostro piccolo rituale gratuito, che vi rifiutate di farvi portare via o di dover “re-imparare” a pagamento?

    Fatemi sapere. O anche no. Magari, invece di scrivere un commento, andate a fare quella cosa.

    Funzionerà meglio.