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  • Dal 12 novembre bloccano il porno ai minori. Spoiler: non funzionerà (e sarà peggio)

    Dal 12 novembre 2025 l’Italia implementa una rivoluzione digitale: i minori non potranno più accedere ai siti pornografici. AGCOM ha pubblicato la lista dei primi 48 portali (Pornhub, YouPorn, Xvideos, OnlyFans e altri) che dovranno verificare l’età degli utenti tramite app o portali esterni certificati. Il tutto in applicazione dell’articolo 13-bis del Decreto Caivano (DL 123/2023), convertito in legge 159/2023, e della delibera AGCOM n. 96/25/CONS. Sulla carta, un provvedimento sacrosanto per proteggere i ragazzi dall’esposizione precoce a contenuti pornografici che, tutti i dati lo confermano, devastano percezione del corpo, autostima, relazioni e salute mentale. Nella realtà? Preparatevi a un fallimento spettacolare che rischia di peggiorare la situazione invece di risolverla.

    I numeri che nessuno vuole guardare

    Prima di smontare il provvedimento, mettiamo in fila i fatti. Pornhub da solo riceve circa 92 milioni di visite al giorno, con 63.992 visitatori al minuto e oltre 10 miliardi di visite mensili. Globalmente, i siti pornografici ricevono oltre 4,4 miliardi di visite al mese, con 150 milioni di pagine visitate ogni giorno e il 30% dell’intero traffico web mondiale legato a contenuti sessuali. L’industria incassa oltre 97 miliardi di dollari all’anno, e il 73% degli adolescenti ha visto materiale porno, con il 63% che lo ha fatto nell’ultima settimana. Non stiamo parlando di “qualche ragazzino curioso”: parliamo di una generazione che ha fatto educazione sessuale con Pornhub, che ha imparato l’intimità da performance irrealistiche, corpi photoshoppati e dinamiche che oggettificano (soprattutto le donne) trasformando il sesso in contenuto da consumare. L’impatto è documentato: ansia da prestazione, autostima distrutta, incapacità di costruire relazioni autentiche, isolamento sociale crescente. Il porno online non è il problema in sé: è lo specchio deformante di una società che ha sostituito intimità con esibizione, connessione con voyeurismo, presenza con performance.

    Il blocco: 48 siti su milioni (davvero?)

    Quindi AGCOM blocca 48 siti. Fermiamoci un attimo. 48 siti su quanti ne esistono in rete? Milioni. Milioni e milioni di portali, piattaforme, forum, canali Telegram, gruppi Discord, server privati, siti ospitati in paradisi fiscali digitali dove le leggi italiane fanno ridere. Pensare che bloccare 48 indirizzi possa fermare l’accesso alla pornografia è come pensare di fermare il mare con un cucchiaino. Ma andiamo oltre: anche ammettendo che questi 48 fossero gli unici siti accessibili (spoiler: non lo sono), il provvedimento prevede che i ragazzi debbano scaricare app di verifica dell’età o essere reindirizzati a portali esterni certificati per dimostrare di avere più di 18 anni. Sistema “doppio anonimato”, garanzie privacy, blablabla. Bellissimo sulla carta. Ma nella realtà?

    Cosa succederà davvero (spoiler: VPN)

    Facciamo un esperimento mentale. Mettetevi nei panni di un adolescente di 15 anni abituato a navigare liberamente. Il 12 novembre prova ad accedere al suo sito preferito. Blocco. Schermata che gli chiede di verificare l’età. Primo momento di smarrimento. Poi cosa fa? Quello che farebbe qualsiasi nativo digitale: chiede all’amico “tecnologico” (chi non ne ha uno?) come aggirare il divieto. E l’amico, con la saggezza di chi ha già bypassato il geoblocco per vedere Netflix USA o scaricare giochi gratis, risponde: “Installa una VPN”. Le VPN (Virtual Private Networks) mascherano l’indirizzo IP dell’utente facendolo risultare connesso da un altro paese, rendendo i blocchi geografici totalmente inefficaci. Funzionano. Sempre. E sono facili da installare come qualsiasi app.

    VPN gratuite: il regalo avvelenato

    Ma qui arriva il punto cruciale che nessuno sta considerando. Le VPN “serie” (NordVPN, ExpressVPN, Surfshark) costano. Non tantissimo, ma costano. Un adolescente di 15 anni non ha una carta di credito. Quindi dove va? Su vpngratis.it (o equivalenti) a cercare la prima VPN gratuita che gli capita. E qui inizia il disastro. Le VPN gratuite sono gratuite per un motivo: non stai pagando con soldi, stai pagando con i tuoi dati. Quando installi una VPN gratuita, nella maggior parte dei casi stai regalando a qualche azienda (spesso cinese, soggetta a leggi nazionali che obbligano a consegnare i dati al governo su richiesta) accesso totale al tuo dispositivo: cronologia di navigazione, dati personali, foto, messaggi, posizione GPS. Molte implementano protocolli di crittografia obsoleti, mantengono infrastrutture vulnerabili, e alcune contengono direttamente malware progettato per compromettere il dispositivo o estrarre informazioni sensibili. Il ragazzino che voleva solo vedere un video porno ha appena dato le chiavi del suo smartphone a sconosciuti.

    Lo scenario che nessuno vuole immaginare

    E ora facciamo un passo oltre. Immaginate che qualche malintenzionato, qualche predatore digitale con un minimo di competenze tecniche, decida di mettere in piedi un servizio di VPN gratuita proprio per adescare minori. Non è fantascienza: è la logica conseguenza di un provvedimento che spinge adolescenti disperati verso strumenti che non capiscono, installati da fonti non verificate, con permessi totali sui loro dispositivi. Foto private, chat, contatti, geolocalizzazione: tutto in mano a chi gestisce quella VPN. È uno scenario plausibile? Non solo: è probabile. Perché il predatore non deve nemmeno cercare le vittime. Sono loro che si consegnano, volontariamente, cercando di aggirare un blocco inutile.

    La soluzione che nessuno usa: parental control

    Sapete cosa eviterebbe tutto questo? Il parental control. Quei sistemi di controllo parentale che i produttori di smartphone e gli operatori telefonici offrono da anni, che permettono ai genitori di filtrare contenuti, monitorare l’attività online, bloccare siti pericolosi. In Italia sono attivi su 1,2 milioni di SIM (dato aggiornato a maggio 2025), e alcuni studi dicono che il 69,8% dei genitori ha applicato limitazioni tecniche. Numeri incoraggianti, no? Il problema è che manca ancora una grande fetta di genitori che non li usa, non li conosce, o non sa configurarli. Se nomini “parental control” alla maggior parte dei genitori, ti guardano con la faccia ebete. Non sanno cos’è, non sanno come attivarlo, e comunque “il mio bambino è bravo, non ha bisogno di controlli”. Fino a quando il bambino bravo non installa una VPN cinese per vedere video porno e si ritrova con il telefono compromesso e i dati in mano a chissà chi.

    Il vero problema: l’ipocrisia digitale

    Il Decreto Caivano, con tutto il suo carico di buone intenzioni, rappresenta l’ennesimo esempio di ipocrisia legislativa. Prendiamo un problema reale (l’esposizione precoce alla pornografia), facciamo finta di risolverlo con un provvedimento che sulla carta suona bene (blocchiamo i siti!), ignoriamo completamente la realtà tecnica (Internet è immenso, i blocchi sono aggirabilissimi), e creiamo un effetto collaterale peggiore del problema originale (adolescenti che installano malware per aggirare il blocco). È la soluzione perfetta per chi vuol dire “abbiamo fatto qualcosa” senza risolvere niente. Mentre i politici si autocelebrano per aver “protetto i minori”, i ragazzi sono già su Pornhub via VPN gratuita, con i loro dati venduti al miglior offerente.

    Cosa servirebbe davvero

    Cosa servirebbe per affrontare seriamente il problema? Educazione. Educazione sessuale vera, non quella fatta con PowerPoint imbarazzanti una volta in terza media. Educazione digitale, per insegnare ai ragazzi cosa significa installare un’app, quali permessi concedere, perché le VPN gratuite sono pericolose. Educazione ai genitori, per fargli capire che il parental control non è “spiare i figli” ma proteggerli, e che no, il loro bambino non è diverso dagli altri. Servirebbero strumenti culturali, non toppe legislative. Ma l’educazione è lenta, complessa, richiede investimenti e competenze. Molto più facile bloccare 48 siti, fare un comunicato stampa, e sperare che nessuno si accorga che non ha risolto un cazzo.

    Epilogo cinico ma realistico

    Dal 12 novembre i siti porno saranno bloccati ai minori. I ragazzi installeranno VPN gratuite in massa. I loro dati finiranno in giro. Qualche predatore ne approfitterà. I genitori continueranno a non sapere cos’è il parental control. E tra qualche mese, quando emergeranno i primi casi di telefoni compromessi o peggio, tutti faranno finta di stupirsi. “Come era possibile prevedere?” diranno. Era possibile. Era ovvio. Ma era più comodo fingere di aver risolto il problema che affrontarlo davvero.
    Benvenuti nel futuro della tutela dei minori: più pericoloso di prima, ma con un bollino legislativo sopra.

  • “L’ha fatto con l’IA“

    Ovvero: come una frase diventa l’alibi perfetto dell’ignoranza

    Il mio primo video musicale generato ANCHE con l’IA

    “L’ha fatto con l’IA.”


    Quattro parole che ultimamente sento ripetere ovunque, come un mantra rassicurante per chi non ha la minima idea di cosa ci sia realmente dietro un processo creativo che utilizza l’intelligenza artificiale. Quattro parole che riducono ore di lavoro, competenze tecniche, scelte artistiche e sudore creativo a un semplice clic. Come dire “ho visto uno che suonava la chitarra” per descrivere un concerto di Paco de Lucía.
    Ieri ho pubblicato un video musicale. Sì, ho usato l’IA. Ma sapete cosa c’è davvero dietro?


    Il processo (quello vero)
    Partiamo dall’inizio, non dal risultato finale che vedete scorrere sul vostro schermo mentre vi grattate distrattamente.

    0 – L’ispirazione per un brano acustico. Quella non la genera nessuna IA: nasce da dentro, da un’emozione, da un momento, da una visione.
    1-4. La parte musicale: chitarra acustica, microfono professionale, scheda audio, Logic Pro con una catena di effetti ed equalizzazioni affinata in anni di prove, fallimenti, ascolti ossessivi. L’IA qui non c’entra nulla: è artigianato puro.

    5 Google Flash Image: per generare l’immagine di partenza. Sette tentativi, non uno. Sette prompt sempre più specifici, dettagliati, studiati per ottenere un risultato vicino a quello che avevo in testa.

    6 – PicsArt: per rendere neutro lo sfondo.

    7 – Upscale Media: per aumentare la risoluzione senza “impastare” l’immagine come succede con tool scadenti.

    8 – Photoshop: per le correzioni di fino. Quelle che fanno la differenza tra “bello” e “professionale”.

    9 – Apple Notes: qui ho scritto la sceneggiatura. Non “un uomo cammina nel deserto suonando la chitarra”. No. Una media di 250-300 parole per prompt, dettagliando ogni minimo particolare, atmosfera, luce, movimento, emozione. Cinque volte. In inglese! Perché è la lingua delle IA: il processo di traduzione potrebbe rovinare il risultato.

    10 Perplexity con Sonnet 4.5: per trasformare quelle sceneggiature in file JSON strutturati che i tool di generazione video potessero interpretare correttamente.

    11 – VEO 2 Fast: per generare i video delle singole scene. Con più tentativi, modificando i prompt fino ad ottenere i risultati che volevo io, non quelli che l’algoritmo decideva per me.

    12 – Flow di Google Labs: per assemblare le scene in un unico filmato coerente e avere una visione d’insieme.

    13 – CapCut: per processare il video, suddividerlo nuovamente e aggiungere gli effetti.

    14 – Final Cut: per regolare la velocità delle clip, inserire e sincronizzare perfettamente l’audio, ed esportare il risultato finale.
    Totale strumenti utilizzati: 14 (di cui solo 3 generativi AI)
    Quindi sì: si fa presto a dire “l’ha fatto con l’IA”.

    Ma la verità è che l’intelligenza artificiale è solo uno degli strumenti nel processo. Non il processo stesso.
    Il processo è la visione. La competenza. La scelta. Il controllo.
    L’IA non crea. Amplifica (o deforma) ciò che tu le dai in pasto.
    E questa differenza… beh, di questa differenza vi parlo nel prossimo post. Perché c’è uno studio del MIT che vi farà venire i brividi.
    Spoiler: chi usa l’IA come scorciatoia sta letteralmente distruggendo il proprio cervello.
    Stay tuned.

    P.S. — Il video di cui parlo è qui sopra. Guardatelo sapendo cosa c’è dietro. E poi ditemi se è ancora “solo IA”.