Come Si Arriva a Fare una Messa di Natale Metal (Senza Averlo Pianificato)
Non è che un giorno mi sono svegliato pensando “farò una Messa di Natale in chiave metal e sarà epica”. È andata diversamente. Qualche anno fa ho iniziato a giocare con l’idea di prendere testi liturgici — quelli che senti a Messa, quelli in latino che non capisci mai fino in fondo — e tradurli in musica moderna. Non per dissacrare, ma per capire.
I primi esperimenti erano piccoli: un “Gloria In Excelsis Deo”, un “Kyrie”. Li ho fatti ascoltare a qualche persona, a qualche amico musicista, anche ad un paio di sacerdoti. E invece di storcere il naso, hanno reagito bene. Molto bene. Passo dopo passo, brano dopo brano, “Natus Est” ha preso forma quasi da solo.
La Domanda Che Ha Cambiato Tutto
L’anno scorso, come “Cohors Petrae”, abbiamo pubblicato “È Nato Il Re” come singolo. Ha funzionato meglio del previsto. E “Otto Giorni”, con la Settimana Santa vissuta da dentro, ci ha regalato la soddisfazione di aver portato molte persone dentro al mistero della Resurrezione. E lì ci siamo posti una domanda semplice ma scomoda: in un periodo in cui tutti parlano di “spirito”, chi lo sente davvero? Gente che scorre feed, consuma contenuti, usa hashtag natalizi. Ma sentire — sentire davvero — è un’altra cosa.
Abbiamo deciso di provare a farlo SENTIRE noi, quel mistero. Non attraverso candeline profumate o playlist ambient, ma con chitarre distorte e orchestrazioni sinfoniche. Perché se ci pensi, Dio che si fa carne in una stalla — non in un palazzo, non con onori, ma in una stalla — è oggettivamente la cosa più dirompente, più rumorosa, più sovversiva della storia. Un terremoto cosmico. E i terremoti non si sussurrano.
12 Brani, Una Liturgia Intera
“Natus Est” segue la struttura completa della Messa di Natale. Non è un concept album inventato: è la liturgia vera, quella che la Chiesa celebra da secoli, tradotta in metal progressivo:
È Nato Il Re
Kyrie
Gloria In Excelsis Deo
Oggi È Nato Per Noi Il Salvatore
Alleluia
Credo In Unum Deum
Pane E Vino
Sanctus
Padre Nostro
Agnus Dei
Magnificat
Nasce Il Salvatore
Ogni brano abita una tensione: rispetto totale per la fede, libertà totale nell’espressione. Testi latini e italiani, chitarre che distorcono ma non tradiscono, blast beat che servono il mistero invece di coprirlo.
Una Natività Che Nessuno Vede
La copertina dice quello che l’album prova a fare: una Natività ambientata in una metropolitana moderna, persone che camminano distratte con i telefoni in mano, e lì, a terra, la Sacra Famiglia ignorata. È il mondo in cui viviamo. Connessi ma assenti. Parliamo di spirito ma non lo ascoltiamo.
Questo album non risolve nulla. Non pretende di convertire nessuno. È solo un tentativo — nostro, personale, imperfetto — di amplificare qualcosa che rischia di perdersi nel rumore di fondo. Di ricordare che quella nascita non fu un evento dolce e silenzioso. Fu uno scandalo.
Non Vogliano Offendere Nessuno.
Abbiamo fatto quello che sentivamo andasse fatto, nel modo in cui andava fatto. È un album che rispetta la liturgia e la fede, ma cerca una lingua nuova per dirle. Dodici brani che provano a far sentire — davvero sentire — quel mistero che rischia di perdersi nel rumore di fondo. Non so se funzionerà, se arriverà alle persone giuste, se verremo scomunicati, se qualcuno lo ascolterà dall’inizio alla fine come andrebbe ascoltato. Ma è lì. E per noi, questo basta.
„Symphonic Reverie“, libertà creativa e il potere della resistenza
Pubblicato il 18 Ottobre 2025
L’artista visivo e polistrumentista italiano Ricky Guariento ha raccontato a Philipp Gottfried di Metal-FM la storia dietro “Symphonic Reverie”, un viaggio sonoro di 8 minuti e 32 secondi che manda affanculo le regole dello streaming moderno. In questa intervista, Ricky svela il processo creativo, la collaborazione internazionale con la batterista giapponese Michiko, e quella filosofia di resistenza artistica che è l’anima del RickyVerso. Si parla di integrità creativa, del rifiuto totale degli algoritmi, e della passione viscerale per il Progressive Metal autentico.
🎵 Ascolta “Symphonic Reverie”
Otto minuti di viaggio sonoro tra Progressive e Symphonic Metal
🎧 Un tributo alle grandi suite progressive.
Lasciati trasportare prima di leggere l’intervista.
Philipp: Ricky, “Symphonic Reverie” dura oltre otto minuti: una scelta coraggiosa nell’era dello streaming. Cosa ti ha spinto a ignorare le aspettative algoritmiche e a creare una composizione così lunga?
Ricky: Otto minuti non sono nulla se li paragoni alle leggendarie suite del Progressive Rock: “Supper’s Ready” dei Genesis, “Close to the Edge” degli Yes, “Thick as a Brick” dei Jethro Tull. Ricordo quando da adolescente infilavo le cuffie e mi perdevo in questi viaggi sonori infiniti. “Symphonic Reverie” è il mio piccolo tributo a quelle spedizioni musicali che semplicemente non puoi comprimere in tre minuti. Ma c’è di più: dovevo fare qualcosa di folle, oltre ogni logica. Dovevo smettere di preoccuparmi degli algoritmi, delle opinioni, dell’accettazione. È stato un regalo che ho fatto a me stesso.
Philipp: Hai detto che questa pubblicazione è un regalo di compleanno. Che significato personale ha per te?
Ricky: Ho iniziato a lavorarci l’anno scorso, per i miei 50 anni. Fino a quel momento, in tutte le mie produzioni e anche nei progetti con le band locali, c’era sempre un compromesso. Ho capito che era arrivato il momento di mostrare al mondo chi è davvero Ricky Guariento, nel bene o nel male. Nessun filtro, nessun adattamento. Solo io.
Philipp: Il brano fonde Progressive e Symphonic Metal. Come fai a mantenere la profondità emotiva mentre esplori strutture tecniche complesse?
Ricky: Per me la tecnica non è mai il fine: è il mezzo. Ogni nota, ogni cambio ritmico, ogni variazione melodica in “Symphonic Reverie” è stata pensata per servire il viaggio emotivo. La complessità senza emozione è solo rumore. Voglio che chi ascolta senta, non che ammiri solo l’abilità tecnica.
Philipp: La tua collaborazione con Michiko attraversa 10.000 chilometri tra Italia e Giappone. Qual è stato l’aspetto più sorprendente di questo lavoro a distanza?
Ricky: Lavoriamo insieme da tre anni, da quando il nostro amico comune Michal Dijkstra ci ha presentati e abbiamo fondato il progetto 80 Hundred Miles. La cosa che mi stupisce di più di Michiko è come questa minuscola batterista giapponese picchi la batteria con una potenza e una ferocia incredibili! Ma la cosa più importante: abbiamo una telepatia musicale, nonostante la distanza, le culture diverse, la differenza d’età. Probabilmente abbiamo lo stesso sangue metallico nelle vene! Quando le ho mandato i primi riff, ha detto subito “Sì”, prima ancora che finissi di spiegare. Aveva già capito tutto.
Philipp: Hai detto che l’IA è stata solo un ponte, non un partner creativo. Dove tracci il confine tra arte umana e supporto tecnologico?
Ricky: L’IA è uno strumento, un esecutore, non un partner creativo. L’ho usata per velocizzare il mixaggio: decine di frammenti brevi da allineare, sincronizzare, coordinare. Sarebbe stato folle non usare strumenti che semplificassero il processo. Ma il processo creativo, le decisioni, l’anima del lavoro: quello è tutto umano.
Philipp: Come artista ispirato dal chiaroscuro di Caravaggio, pensi al suono in termini di luce e oscurità? Come influenza questo la tua narrazione musicale?
Ricky: C’è un’espressione che adoro: “sonic painting”, pittura sonora. La mia passione per l’arte e la fotografia mi aiuta tantissimo in questo. Quando compongo, penso in termini di luce e ombra: questa sezione è buio, qui la luce esplode. Per esempio, il mio brano precedente “Doomsday” è stato costruito interamente su visualizzazioni. “Symphonic Reverie” è la stessa cosa: contrasti, drammaticità, cambi improvvisi di tono e intensità. È pittura sonora.
Philipp: Il titolo “Symphonic Reverie” evoca qualcosa di onirico. Che viaggio mentale o emotivo volevi creare per chi ascolta?
Ricky: Il titolo dice tutto: volevo creare una fantasticheria, un sogno ad occhi aperti. Non un viaggio lineare, ma un posto dove ognuno può perdersi e ritrovarsi. Volevo evocare quella sensazione che provi poco prima di addormentarti, quando realtà e fantasia si confondono e ogni suono diventa una storia. Se anche solo per qualche minuto dimentichi dove sei e semplicemente viaggi, nella mente o nel cuore, allora ho fatto il mio lavoro.
Philipp: Molti artisti oggi inseguono la viralità invece della visione. Cosa significa per te l’integrità artistica quando gli algoritmi sembrano dettare il gusto?
Ricky: Molti anni fa, anche se ne ho avuto l’occasione, ho rinunciato alla carriera musicale professionale. “La tua musica è interessante, ma…”, “Ok, ti produco, però facciamo qualcos’altro…”, “Dimentica quella roba, hai una bella voce…” E adesso dovrei farmi guidare da un algoritmo? Nessuna possibilità. Mi sono già rifiutato di scendere a compromessi quando me lo chiedevano gli esseri umani; perché dovrei inchinarmi a un pezzo di codice? Integrità artistica significa restare fedele alla tua visione, anche quando nessuno ti ascolta. Soprattutto in quel caso.
Philipp: Riunisci diverse identità creative: il lavoro solista, la produzione di colonne sonore, gli 80 Hundred Miles e il progetto Cohors Petrae. Come si influenzano questi progetti?
Ricky: E questi sono solo i più recenti! Solo alcune delle tante facce. Ho sperimentato di tutto, dal Jazz al Flamenco, dalla musica classica all’Electro-Pop, e spesso ho mescolato tutto cercando qualcosa di nuovo. Non mi piace definirmi. Ho sempre bisogno di nuovi stimoli, nuove avventure, ma alle mie condizioni. Come si influenzano? Direi che si fondono più che influenzarsi. Sono tutti parte dello stesso impulso creativo irrequieto.
Philipp: La tua citazione “Vivere è creare, e creare è smettere di non vivere più” suona molto filosofica. Come vivi questa idea nel quotidiano?
Ricky: Vivo in una costante urgenza creativa, ogni momento della giornata. Non so spiegarlo, ma quando mi sveglio la mattina ho già idee per un fumetto, una storia, un brano, una foto che voglio scattare. E durante la giornata, ogni piccola cosa – un gesto, una situazione, una frase – può diventare fonte d’ispirazione. È come se le mie antenne fossero sempre accese. La creazione non è qualcosa che pianifico: è il modo in cui respiro.
Philipp: Una composizione strumentale significa raccontare senza parole. Come ti assicuri che l’emozione e la narrazione arrivino comunque?
Ricky: Sperimento le emozioni su me stesso. Scrivo quello che voglio “sentire” quando ho bisogno di ascoltare qualcosa che trasmetta proprio quell’emozione. Compongo per l’ascoltatore che è in me e confido che gli altri ci trovino il proprio significato. Poi… ognuno può sentirla come gli ha insegnato la sua storia. Questo è il bello della musica strumentale: lascia spazio all’interpretazione.
Philipp: Che ruolo hanno il silenzio o la moderazione nella tua musica, specialmente in un genere che spesso celebra intensità e complessità?
Ricky: Il silenzio può essere più potente del caos che lo circonda. Può essere il respiro di cui hai bisogno quando scappi da qualcosa che fa paura. Può essere il momento di calma dopo un’emozione forte. Può essere la pausa per raccogliere i pensieri prima di continuare un lungo viaggio. Senza silenzio, l’intensità perde significato. È il contrasto che dà forza a entrambi.
Philipp: Il Progressive Metal è sempre stato un genere in evoluzione. Dove pensi che risieda la prossima ondata di innovazione?
Ricky: Paradossalmente, penso che il futuro del Prog Metal stia in un ritorno alle origini. Dopo anni di superiorità tecnica e auto-ammirazione, c’è un ritorno a un Prog più emotivo. Band come Haken e Caligula’s Horse sono esempi di come l’emozione non vada sacrificata alla tecnica. La prossima ondata non nascerà dal suonare più veloce, ma dal sentire più profondamente.
Philipp: La collaborazione con Michiko unisce anche due culture. Questa esperienza ha cambiato la tua visione del ritmo, del timing o dell’energia?
Ricky: A essere onesto: Michiko, pur avendo metà dei miei anni, ha tirato fuori esattamente quello che c’era in me. È stata sintonia totale su tutti i livelli. Parlavamo la stessa lingua musicale. La cultura non ha avuto importanza. L’età non ha avuto importanza. Quando due musicisti condividono lo stesso sangue metallico, la geografia diventa irrilevante. Lei ha capito cosa mi serviva prima ancora che finissi di spiegare.
Philipp: Hai creato il tuo universo artistico: il “RickyVerso”. Come collega questo concetto musica, immagini e narrazione?
Ricky: “RESISTENZA” è la parola che collega tutto. Resistenza contro l’ignoranza, l’odio, la crudeltà, le bugie e la falsa libertà. Voglio rendere visibile quello che le persone non vogliono vedere. Voglio dare un’opportunità a chi la pensa come me, a chi non ha paura di fermarsi e ascoltare musica per quasi nove minuti. A chi non si limita a sopravvivere seguendo il gregge, ma vuole essere la pecora nera. Il RickyVerso è un rifugio per gli irrequieti, gli insoddisfatti, i vigili.
Philipp: Essendo commerciale per un’azienda che si occupa di acciaio di giorno e musicista di notte, trovi contrasti o parallelismi tra struttura aziendale e libertà artistica?
Ricky: Direi che sono due vite parallele che a volte si intersecano. Anche nel mondo del business, oggi, creatività e capacità di distinguersi sono essenziali. E spesso uso la mia musica per le campagne di marketing della InoxTubi, così risparmio sui diritti d’autore (ride). Ma sul serio: entrambi i campi richiedono disciplina, visione e coraggio di rischiare. La differenza è: nel business negozi con i clienti. Nella musica negozi con te stesso. E comunque, l’acciaio inossidabile è sempre… Metallo!
Philipp: Ogni atto creativo comporta rischi: artistici, emotivi, anche finanziari. Quali rischi hai corso con “Symphonic Reverie”?
Ricky: Il viaggio emotivo è stato intenso: alti e bassi tra euforia ed esaurimento. Ci sono stati momenti in cui non vedevo più l’obiettivo, ed era deprimente. Il rischio più grande era creare qualcosa che non interessasse a nessuno. Ma, onestamente? Non me ne fregava. Il complimento più bello che ho ricevuto è stato: “Non ti riconosco più. Questo non suona come te”. Missione compiuta. Significa che il vero Ricky è finalmente venuto fuori.
Philipp: Se “Symphonic Reverie” fosse un’installazione artistica immersiva, come immagineresti lo spazio, le luci, le texture, l’atmosfera?
Ricky: Immagino uno spazio come una cattedrale gotica, come quella sulla copertina dell’album. Volte alte, colonne di pietra. La luce parte dall’oscurità, poi lentamente si accendono raggi caldi color ambra da dietro, proiettando lunghe ombre. Con l’intensificarsi della musica, la luce pulsa e cambia: toni blu freddi nei passaggi tranquilli, oro incandescente e rosso profondo nelle sezioni pesanti. Le texture sarebbero pietra fredda in contrasto con l’illuminazione calda, esattamente come l’opposizione tra silenzio e caos nella musica stessa. Voglio che le persone si sentano contemporaneamente piccole e potenti. Circondate da qualcosa di antico ma pieno di energia nuova.
Philipp: Per concludere, quale messaggio o emozione vuoi che gli ascoltatori portino con sé dopo l’ultima nota?
Ricky: Semplicemente… che abbiano viaggiato con me. E qualunque emozione rimanga, spero che resti per un po’. Non persa nel prossimo scroll.
Metal Planet ha pubblicato un articolo dedicato al mio brano “Symphonic Reverie”, condividendolo su Facebook, X (Twitter), LinkedIn, Bluesky e Threads. Il brano è stato aggiunto alla loro “Little Box of Wonders” su Spotify e YouTube.
Non vi nascondo che mi ha fatto un effetto strano — nel senso migliore del termine. Non perché cercassi conferme esterne (chi mi conosce sa che non ho mai creato musica per piacere a qualcuno), ma perché è la dimostrazione che quando credi in qualcosa e vai avanti nonostante tutto, prima o poi qualcuno se ne accorge. Qualcuno capisce.
“Symphonic Reverie” nasce da un’urgenza espressiva che non potevo più contenere: 8 minuti e 32 secondi di progressive/symphonic metal strumentale che sfida apertamente la tirannia dell’algoritmo. In un’epoca dove la musica è stata ridotta a frammenti da 30 secondi per TikTok e Reels, questo brano è una dichiarazione di guerra e di integrità artistica.
È una fusione di prog metal e symphonic metal che attinge dall’eredità di Dream Theater, Symphony X, Opeth, Savatage, Rhapsody of Fire, Queensrÿche, Fates Warning e Rush. Senza la pretesa di paragone! Volevo potenza, orchestrazione, tecnica e atmosfera, che si intrecciano in un viaggio sonoro che richiede ascolto attivo, non consumo passivo. Ma soprattutto, è il frutto di una collaborazione transcontinentale straordinaria con Michiko Funakoshi, batterista giapponese di Tokyo con cui avevo già collaborato negli 80 Hundred Miles. 10.000 chilometri di distanza, mesi di lavoro remoto, due mondi e due culture unite dalla stessa passione creativa.
E mentre lo scrivevo, mentre lo producevo, c’era chi remava contro. Chi diceva “ma chi te lo fa fare?”, “chi vuoi che ti ascolti?”, “non é musica che funziona questa”. Ecco, a loro dedico un pensiero affettuoso: 🖕
Ho continuato. Ho scelto di credere nella mia visione, nella mia musica che varia dal jazz al metal a seconda di come mi sveglio (ma il metallo scorre nelle mie vene da sempre, non c’è scampo,) nel mio RickyVerso fatto di note, parole, immagini e idee che nessuno mi aveva chiesto ma che io dovevo tirare fuori.
E oggi Metal Planet condivide il mio lavoro. Piccola vittoria? Forse. Ma per me è la conferma che vale sempre la pena essere fedeli a se stessi. Grazie a chi ha sempre creduto in me, a chi mi ha supportato anche quando sembrava una follia. Grazie ai tre fan che ascoltano la mia musica con il cuore aperto. E grazie a chi ha remato contro: mi avete dato una motivazione in più per dimostrare che avevate torto.
🔗 Leggi l’articolo su Metal Planet 🔗 [Scarica la Press Release completa (PDF)](link qui sotto) 🎧 Ascolta “Symphonic Reverie” su tutte le piattaforme: Spotify, Apple Music, Amazon Music, YouTube, Deezer, Tidal[amazonaws]
Anche questa volta è arrivato il giorno. E come ogni anno, mi guardo indietro e mi chiedo cosa mi sono regalato. Non parlo di oggetti, ma di atti. Atti di coerenza, di amore, a volte anche di sana e pura ribellione. Quest’anno, il mio regalo per me – e spero anche per voi – si intitola “Symphonic Reverie”.
Ed è un brano inedito di 8 minuti e 32 secondi.
Leggetelo di nuovo: 8:32. In un’epoca in cui la musica è diventata un sottofondo usa e getta da 30 secondi per muovere culi su TikTok, pubblicare un’opera strumentale di questa durata è un atto politico. È il mio personale rifiuto di prostituire un’idea, di venderla al pappone del consenso facile, come scrivevo tempo fa.
“Symphonic Reverie” non è nata per essere “scrollata”. È nata per essere ascoltata.
Questa è la storia di un sogno creativo a distanza, un’armonia disarmonica costruita a 10.000 chilometri di distanza. Protagonista con me di questa odissea sonora è la mia “partner in crime”, Michiko, giovane batterista fenomenale di Tokyo con un’anima forgiata nel metallo. Già fondatrice con me e Michal Dijkstra del gruppo “diffuso” 80 Hundred Miles. Dai nostri rispettivi home studio – il mio piccolo antro creativo e la sua cantina trasformata in un tempio del ritmo – abbiamo tessuto per mesi le fila di questo brano, nota dopo nota, beat dopo beat, con tutte le difficoltà logistiche e tecniche del caso. È un dialogo tra due mondi, due culture, unite dalla stessa urgenza espressiva. E sì, lo ammetto, a tenere insieme i pezzi di questa folle collaborazione a distanza c’è stata anche l’AI (orrore! orrore! 😱), usata come strumento, come ponte, mai come fine.
Ma com’è, questo “Sogno Sinfonico”?
È un viaggio prog-rock. È una creatura metal viva, che respira, che non chiede il permesso. Passa da momenti di quiete quasi riflessiva a vere e proprie tempeste sonore. Non troverete una voce umana a guidarvi, perché non serve. A parlare è solo la musica, nel linguaggio più puro e universale che esista.
Questo brano è la dimostrazione pratica di tutto ciò in cui credo. È la mia musica fatta “per chi ama ascoltare, non solo sentire in sottofondo”. È il frutto di quella conversazione a due, intima e segreta, con l’idea di musica come amante, prima di aprire la porta al mondo.
Oggi quella porta si apre. E se qualcuno si ferma ad ascoltare riconoscendosi in quello che abbiamo creato, allora la magia si è davvero compiuta.
“Symphonic Reverie” non è più solo mia e di Michiko. Ora è anche vostra. Se vorrete accoglierla.
Buon ascolto. E vaffanculo, Algoritmo. 🖕🏻 Con affetto.
L’autunno è un artista di tocchi lievi e sentenze definitive. Accorcia le giornate, raffredda l’aria, invita a cercare rifugi più intimi. E mentre fuori la prima pioggia lava via la polvere dell’estate e la nebbia inizia a disegnare contorni incerti, sento il bisogno quasi fisico di un calore diverso. Un calore che non viene da un calorifero, ma da un ricordo.
In questi giorni, mi sono ritrovato ad ascoltare in loop un mio brano che sembra provenire da un’altra vita creativa: “Sealounge”.
Chi conosce la mia musica, il mio percorso tra le trame del prog metal e le confessioni del rock, potrebbe rimanere sorpreso. “Sealounge” non ha chitarre sferraglianti né ritmi complessi. È figlio di un periodo di esplorazione, un momento in cui ho messo da parte gli strumenti che conoscevo come le mie tasche per giocare con l’ignoto: l’elettronica, i campionatori, i suoni sintetici. È stato un atto di libertà, un modo per scoprire se la mia voce creativa potesse parlare anche un’altra lingua.
Il brano si apre con un sipario liquido: le onde del mare. Non è un semplice effetto, è una porta d’accesso. Un invito a spogliarsi del superfluo e ad entrare in una dimensione diversa, quella di un pomeriggio estivo infinito. Ho cercato di tessere un arazzo sonoro che fosse quasi tattile: la pulsazione lenta di un battito a riposo, i synth che si allargano come cerchi sull’acqua, le melodie rarefatte che evocano il dormiveglia sotto l’ombrellone, con il sole che filtra tra le palpebre e scalda la pelle.
La musica ha questo potere straordinario: è una macchina del tempo per le sensazioni. E ogni nota, ogni suono all’interno di “Sealounge” è stato scelto e posizionato con un unico scopo: provocare quel senso di pace e di abbandono. È la mia piccola resistenza contro il grigiore che avanza, un sole tascabile da accendere quando serve.
Oggi lo condivido con voi. Spero che possa essere un piccolo rifugio anche per voi, un’onda di calore inaspettata per scaldare questi primi giorni d’autunno e ricordarci che, da qualche parte dentro di noi, l’estate non finisce mai veramente.