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  • 6 Ottobre. Il giorno in cui Hyla bussó alla mia porta.

    Hyla, protagonista dell’omonimo album progressive metal strumentale del 6 ottobre 2022: guerriera mezza elfa con lunghi capelli biondi, spada sulle spalle e armatura decorata, ritratta in una foresta con luce cinematica - artwork fantasy per concept album di rinascita creativa

    Tre anni fa, ero bloccato a letto.
    Non per scelta. Per necessità. Un’operazione mi aveva tolto il movimento, ma non i pensieri. Anzi, forse li aveva amplificati. Troppo tempo, troppo silenzio, troppa immobilità per una mente abituata a correre.


    E poi lei è arrivata.


    Non come le muse arrivano nei racconti romantici, con squilli di tromba e apparizioni divine. No. Hyla è entrata dalla porta sul retro, quella che lasci sempre socchiusa per gli ospiti inattesi. Si è seduta accanto al letto. Mi ha guardato. E ha cominciato a parlare.


    Era mezza elfa, mezza umana. Né di qua né di là. Come me, in fondo. Sospesa tra mondi, tra battaglie vinte e ferite ancora aperte. Aveva combattuto mille guerre. Ne avrebbe combattute altre mille. Ma in quel momento, era lì. Con me. A raccontarmi chi era.


    E io l’ho ascoltata.


    Non ho fatto altro. Ho ascoltato le sue storie, i suoi silenzi, i suoi respiri. E mentre lei parlava, io rinascevo. Nota dopo nota, battito dopo battito, la musica ricominciava a scorrere. Non era più buio. Era luce filtrata, calda, quella che ti fa riaprire gli occhi piano.


    Hyla non è venuta per restare. E io non le ho mai chiesto di farlo. Le ho dato rifugio, tempo, spazio per rimettersi in piedi. E quando è stata pronta, l’ho lasciata andare. Senza catene, senza promesse. Con la sola certezza che, se avesse bussato di nuovo, io ci sarei stato.
    Sempre.

    Il 6 ottobre 2022 è uscito Hyla, l’album che porta il suo nome. Dieci tracce che raccontano il nostro incontro, le sue battaglie, il suo cammino. Un disco che è stato toccasana per me, e che spero possa esserlo anche per chi lo ascolta.


    Ogni tanto Hyla torna. Mi racconta una nuova storia. Nasce altra musica. Poi ci salutiamo, e io non so se la rivedrò ancora. Ma va bene così. Lei ha la sua missione. Io la mia l’ho compiuta: le ho dato un rifugio quando ne aveva bisogno.
    E la mia porta, per lei, sarà sempre aperta.
    Come se il tempo non fosse mai passato.

    🎧 Ascolta Hyla

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  • E quello che farete al più piccolo tra voi…

    E quello che farete al più piccolo tra voi…

    Ci sono parole che non si possono addomesticare. Parole che non invecchiano. Parole che, se le prendi sul serio, ti costringono a guardarti dentro senza scuse.

    Gesù, durante la sua Passione, sorprende sempre. Non grida vendetta, non lancia maledizioni. Non cerca nemmeno di difendersi: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno.”

    Ma quando si tratta dei piccoli, delle creature fragili, la sua voce diventa di pietra. Nessuna sfumatura, nessun compromesso: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me».

    È una sentenza, nuda e cruda. Non parla di colpe generiche, parla di azioni concrete. O fai, o non fai. E se non lo fai, è come se avessi voltato le spalle a Lui.

    E allora, ditemi: quando qualcuno brandisce il Vangelo come un’arma da comizio, quando urla “Dio, Patria e Famiglia” da un palco politico, ha davvero capito che cosa sta pronunciando? Perché se Dio è ridotto a un logo elettorale, se la Patria diventa un recinto che esclude, se la Famiglia è soltanto una parola vuota buona per i manifesti… allora siamo già fuori strada.

    Il Vangelo non si piega alle convenienze. Il Vangelo ti scomoda, ti costringe a cambiare, a guardare chi non vorresti guardare: il povero, lo straniero, il bambino che non ha nulla.

    Viviamo in un mondo che classifica anche l’innocenza. Ci sono bambini che hanno diritto alla scuola, al gioco, a un futuro. E bambini che nascono già scartati, già segnati da una condanna invisibile.

    Non parliamo solo di “serie A” e “serie B”: la verità più dura è che la maggioranza non entra nemmeno in campo. Non hanno scarpe, non hanno arbitri, non hanno regole che li proteggano. Sono fuori dal campionato della vita prima ancora di cominciare.

    E poi c’è Gaza.

    Ogni giorno, immagini di ospedali sventrati, scuole trasformate in macerie, bambini estratti dalla polvere con gli occhi spalancati di terrore.

    Eppure, se osi dire che è inaccettabile, ti accusano di… antisemitismo. Ma i veri antisemiti non sono forse quelli che legittimano il genocidio di un popolo, tradendo la stessa memoria che dicono di difendere?

    Chi applaude alle bombe non protegge nessuno: semina solo odio che tornerà, ancora più feroce.

    Il bambino di Gaza sotto le macerie e il bambino di Tel Aviv in un bunker hanno lo stesso diritto di svegliarsi domattina.

    E non sono diversi dal bambino di Milano o di Nairobi: Il dolore ha lo stesso pianto, la stessa fame, la stessa paura.

    Il Vangelo non dice: “Proteggete solo quelli che vi somigliano”. Dice: «Quello che fate, o non fate, al più piccolo… lo fate, o non lo fate, a me».

    La domanda, alla fine, resta lì. Immobile, tagliente come una lama.

    Se fosse tuo figlio sotto quelle macerie? Se fosse tua figlia a non avere un letto, un bicchiere d’acqua, una carezza? Ti basterebbe ancora dire: “Non è affar mio”?

    Forse è qui che Gesù ci mette con le spalle al muro: non davanti a Dio, ma davanti a noi stessi. Perché non si tratta di religione, né di politica, né di ideologia.

    Si tratta di sguardi.

    Di volti concreti.

    Di mani piccole da stringere.

    È lì che si misura la nostra umanità.

    E, se davvero crediamo in qualcosa, è lì che si misura anche la nostra fede.

    Il resto sono solo le stramaledette parole una politica senza più un briciolo di anima.