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  • Taglia S… Inclusiva! – Il paradosso del vanity sizing: quando ingrassare ti fa risparmiare

    Il paradosso del “vanity sizing”

    Ieri sono entrato in un negozio di una famosa catena di abbigliamento. Ho provato dei maglioncini taglia S e pantaloni taglia 46. Mi guardavo allo specchio e mi sembrava di avere addosso l’omino Michelin. La XS non c’era, la 44 nemmeno. “Le nostre sono taglie inclusive” mi dice la commessa…

    Cioè. È tutto lì. Al momento non ho capito perché questa frase mi ha colpito, ma pensandoci, racchiude un paradosso assurdo di cui nessuno parla davvero. Le taglie dei vestiti si stanno allargando. Punto. Non è una percezione, è fatto. E dietro c’è una strategia di marketing così cinica… che quasi ammiri la sfrontatezza.

    La realtà: le taglie sono diventate una fiction

    Le taglie oggi non significano niente. Una taglia S di adesso è quello che era una M vent’anni fa. Una M è quello che era una L. È tutto inflazionato, gonfiato. I numeri sono lì per rassicurarci, ma senza alcuna utilità.

    E sapete perché? Perché il peso medio della popolazione è aumentato. Costante, inesorabile, anno dopo anno. E le grandi catene di abbigliamento si sono semplicemente adeguate. Ma non hanno esteso le taglie: le hanno gonfiate.

    Il risultato? Se sei una persona con una corporatura longilinea, tipo io – e no, non sto dicendo che sia una cosa bella come fatto personale, è una semplice constatazione – adesso fai fatica tremenda a trovare un vestito che non ti stia addosso come un sacco di iuta. Entri in un negozio, prendi una S, la indossi e sembra che l’abbiano disegnata per qualcun altro.

    É un gioco sporco!

    Ovviamente tutto questo c’è una strategia di marketing psicologico che è geniale e disgustosa al tempo stesso.

    Se sei una persona che pesa di più, e indossi una taglia S o M di un determinato brand – quando normalmente indosseresti una L o XL – ti senti… meglio! Ti guardi allo specchio e pensi: “Ehy, guarda, sto bene, indosso una taglia S!” E se un brand è stato gentile abbastanza da permetterti di stare bene con te stesso… Indovina un po’? Torni a comprare da loro. Torni, ancora.

    I brand lo sanno. L’hanno calcolato. Loro vendono la sensazione, non i vestiti. Vendono l’illusione che indossare quella etichetta significhi qualcosa di buono su di te. E funziona. Aumentano le vendite, aumenta la fedeltà al marchio, tutti contenti.

    Tranne qualcuno…

    Il paradosso che nessuno ti dice

    Chi è in forma, chi si prende cura di sé, chi – e qui veniamo al punto davvero amaro – resiste al progredire dell’aumento di peso, adesso deve spendere il doppio. Perché non trova niente nei negozi normali.

    Pensate un attimo: dove vanno le persone magre a comprare vestiti che gli stiano bene? Brand più ricercati. Boutique. Negozi specializzati. Roba cara. Il mercato ti sta dicendo, sottotraccia: “Se restituisci il tuo corpo al suo peso naturale, metti i vestiti che vuoi, ma paga il doppio.”

    È una tassa sulla salute. Letteralmente. Il mercato premia economicamente chi segue la curva del peso e penalizza chi resiste. Non è una considerazione morale, è un’osservazione sulla logica economica assurda di quello che stiamo costruendo.

    L’inclusività che esclude

    E il bello? Il bello è che tutto questo viene spacciato come inclusività.

    “Occhebbello! adesso abbiamo taglie per tutti!” No, non è vero. Adesso avete taglie gonfiate che non significano più niente, e in questo caos – indovina – la gente con corpi davvero fuori dalla media continua a essere esclusa lo stesso.

    Chi ha bisogno di una taglia XL vera, non gonfiata, non la trova. Chi ha bisogno di una XS davvero piccola, nemmeno. Tutti confusi, tutti frustrati, e il brand lì a sorridere.

    La verità è che non è inclusività: è negligenza di precisione travestita da apertura mentale. È il mercato che dice: “Abbiamo deciso quale sia il corpo medio e abbiamo costruito tutto intorno a quello. Se non ci stai dentro, cazzi tuoi.”

    Il corpo è sempre una merce

    Alla fine, il vanity sizing è solo l’ennesima prova che il mercato non vende prodotti. Vende storie. Vende il racconto che indossare quella roba ti farà stare bene con te stesso. E mentre gioca con le etichette, il resto di noi – chiunque abbia un corpo reale, qualsiasi corpo sia – ne paga le conseguenze.

    Chi è più grande continua a sentirsi escluso. Chi è più magro continua a pagare di più. L’unica taglia davvero inclusiva? La frustrazione. Ed è free for everyone.